di DOMENICO MACERI* – “La montagna ha partorito un topolino”. Queste le parole di Vladimir Putin per commentare i risultati delle indagini di Robert Mueller sul Russiagate. Putin ha ripetuto essenzialmente le stesse parole nella recente conversazione telefonica con Donald Trump, secondo le dichiarazioni del 45° presidente Usa.
Rispondendo alla domanda di un giornalista se i due leader avevano discusso dell’interferenza russa nelle elezioni, Trump ha detto che non hanno toccato il tema. Nessuno gli ha domandato se avessero discusso della situazione dei dodici ufficiali dell’intelligence russa incriminati da Mueller nel mese di luglio del 2018 e della loro possibile estradizione. Ma con ogni probabilità i due non ne hanno parlato nemmeno.
Secondo Trump lui e Putin hanno toccato parecchi temi, compresa la situazione in Venezuela. L’inquilino della Casa Bianca ha dichiarato che Putin si interessa a una soluzione pacifica. Tutto bene, dunque, secondo le sue parole. La visione rosea di Trump sulla Russia e su Putin non è però condivisa dallo staff del presidente. Infatti la sua politica sulla Russia appare in netto contrasto con la visione dei suoi collaboratori.
Il rapporto di Mueller non ha provato alcuna cospirazione fra la campagna di Trump e i russi, nonostante i frequenti contatti. Da aggiungere la vicenda dei dodici agenti russi incriminati da Mueller, e di Maria Butina, spia russa condannata in America a 18 mesi di carcere per avere cospirato contro il governo degli Stati Uniti. Mueller però ha confermato ciò che si sapeva già dai servizi di intelligence americana e cioè che la Russia aveva interferito nell’elezione americana del 2016 in maniera “sistematica” aiutando Trump e fomentando discordia mediante i social media. Trump da parte sua non ha mai digerito questa verità considerandola una macchia alla sua vittoria presidenziale. Ecco perché quando si è incontrato con Putin a Helsinki nel mese di luglio del 2018 ha dichiarato che il leader russo era stato molto forte nel negare ogni interferenza. Trump in effetti ha rinnegato le raccomandazioni di 17 agenzie di intelligence americane. Per questa posizione alcuni ex leader dei servizi segreti statunitensi gli hanno dato del “traditore”.
Non si sa esattamente che cosa hanno discusso i due leader a Helsinki poiché Trump ha detto alla sua interprete di distruggere gli appunti presi durante l’incontro. Ciò rappresenta una violazione delle procedure formali, poiché storicamente i presidenti informano in dettaglio il loro staff di quello di cui esattamente si discute in questi colloqui. L’idea è di evitare contraddizioni quando i collaboratori americani si riuniscono con i loro omologhi russi o di altri Paesi.
Le contraddizioni fra l’intelligence americana e la visione di Trump sull’ipotesi di interferenza russa nelle elezioni presidenziali americane si stanno ripetendo adesso nella situazione del Venezuela. Nonostante l’ipotesi di Trump che Putin non è coinvolto nelle vicende del Venezuela, i russi – secondo John Bolton, consigliere per sicurezza nazionale, e Mike Pompeo, segretario di Stato – avrebbero un ruolo molto attivo e presumibilmente destabilizzante in quel paese.
Pompeo non è d’accordo con le valutazioni di Trump e ha dichiarato che i russi hanno “centinaia o più di persone” in Venezuela che aiutano le migliaia di cubani a mantenere Nicolas Maduro al potere. Pompeo ha anche dichiarato che Maduro deve andare via e che i cubani e i russi in Venezuela devono “seguirlo”. Il segretario di Stato americano ha anche detto che avvertirà i suoi omologhi russi in incontri imminenti a non interferire in Venezuela.
Anche Bolton ha usato parole simili, persino minacciando che se i russi continuano la loro influenza in Venezuela “ne pagheranno le conseguenze”. Bolton è preoccupato dal ruolo russo in Venezuela dichiarando che Putin non vorrebbe altro che ottenere il controllo di un Paese in America del Sud. Secondo Bolton, i russi sono stati informati che il loro comportamento è inaccettabile.
Trump però continua a ripetere che buoni rapporti con la Russia recheranno benefici ai due Paesi. Tuttavia rimane il problema che il 45° presidente non riesce ad affrontare la realtà, continuando ad escludere che la Russia ha interferito nell’elezione americana. In ciò l’atteggiamento di Trump riflette un’insicurezza personale che lui trasporta in campo politico. La ex direttrice dell’Homeland Security, Kirstjen Nielsen, licenziata da Trump il mese scorso, i cui compiti includevano anche l’analisi di possibili interferenze straniere sulle elezioni americane, aveva tentato di organizzare riunioni di alto livello per affrontare il problema. Alla Nielsen era stato però consigliato da altri membri del gabinetto di Trump di non fare molto rumore sulla questione poiché il presidente non ne vuole sentire parlare.
*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).
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