di DOMENICO MACERI – “I media avvelenano la mente degli elettori americani”. Così Donald Trump ha reiterato il suo disgusto per la stampa in una recente intervista a George Stephanopoulos della Abc. Gli attacchi di Trump alla stampa sono già notissimi. Spesso ai suoi comizi insulta i giornalisti presenti additandoli come “disonesti” creando un clima teso in cui i suoi seguaci inveiscono contro la categoria. In alcuni casi Trump ha indicato nomi di giornalisti come Katy Tur della Msnbc la quale ha ricevuto la protezione dei servizi segreti per potere raggiungere la sua macchina per paura che i sostenitori di Trump la assalissero.
La stampa continua a seguire Trump nei suoi comizi, ma i giornali americani hanno in grandissima misura preso le distanze dal candidato repubblicano. Finora solo sei giornali statunitensi hanno offerto il loro endorsement a Trump. Si tratta di piccoli giornali, spesso ultra conservatori. Spicca fra questi il “Crusader“, il più noto giornale del Ku Klux Klan che la campagna di Trump ha giustamente denunciato etichettandolo come “pubblicazione ripugnante” che non rappresenta la campagna di Trump.
La stragrande maggioranza dei principali giornali americani ha negato l’endorsement a Trump. Non si tratta di pubblicazioni “liberal” come il New York Times, il Washington Post, il Los Angeles Times e il San Francisco Chronicle, ecc. Persino giornali considerati conservatori come il Dallas Morning News, il Cincinnati Enquirer, l’Arizona Republic e il San Diego Union Tribune hanno rifiutato il loro endorsement al candidato repubblicano. Parecchi di questi giornali non avevano mai dato il loro endorsement a un candidato democratico. L’Arizona Republic, fondato nel 1890, aveva sempre offerto il suo endorsement a un candidato presidenziale repubblicano. Fino ad adesso.
Le ragioni per l’allontanamento di questi giornali che solitamente pendono a destra viene spiegata in termini concisi e familiari. Il Cincinnati Enquirer lo descrive dicendo che “Trump rappresenta un chiaro e reale pericolo” per il paese e quindi anche per il mondo. L’allontanamento da Trump si traduce nella maggioranza dei casi in un endorsement per Hillary Clinton; ma in alcuni, come il Richmond Times-Dispatch della Virginia, il beneficiario è stato Gary Johnson, un candidato minore con pochissime possibilità di vittoria finale. In qualche altro caso come USA Today, il rifiuto dell’endorsement a Trump è sfociato in un incoraggiamento agli elettori a votare, senza però indicare Hillary Clinton come meritevole dell’appoggio.
Gli endorsement dei giornali in passato avevano un peso notevole perché gli elettori ricevevano le informazioni principalmente dalla stampa. Adesso, con la televisione via cavo, internet e i social media, il peso delle opinioni dei giornali è diminuito.
Con ciò non si vuole sostenere che l’impatto degli endorsement sia completamente nullo. Quando un giornale che storicamente pende da una parte decide di cambiare rotta completamente richiama l’attenzione, rivelandosi una grossa novità. Fa scalpore dunque quando giornali conservatori danno il loro endorsement a Hillary Clinton invece di Donald Trump.
Il fatto che la stragrande maggioranza dei maggiori quotidiani americani abbia abbandonato il candidato repubblicano è significativo, anche se non necessariamente determinante.
Secondo uno studio di Brian Knight della Brown University gli endorsement che remano controcorrente hanno il potere di convincere fra l’uno e il due percento degli elettori a cambiare voto. L’impatto degli endorsement al livello presidenziale è però molto minore se comparato a quello delle elezioni locali, dove spesso gli elettori non hanno a portata di mano molte informazioni e si affidano ai suggerimenti del loro giornale.
Alcuni analisti hanno affermato che gli endorsement dei giornali hanno già perso il loro valore e recano pochi benefici ai consigli editoriali dei giornali. Infatti, parecchi giornali conservatori che non hanno dato il loro endorsement a Trump hanno ricevuto minacce di sospensione di abbonamenti e in alcuni casi minacce di morte. In altri casi, alcuni lettori hanno dichiarato che non possono più avere fiducia in qualunque cosa questi giornali scrivono.
Questi lettori, poco informati, non si rendono conto che la sezione di cronaca e gli editoriali spesso hanno vice direttori diversi, i cui ruoli divergono. Il Wall Street Journal è forse il più noto in questo senso dato che la sua linea editoriale è solidamente conservatrice mentre la cronaca è considerata relativamente obiettiva.
Se gli endorsement dei giornali determinassero l’elezione, Trump avrebbe già perso. Gli elettori, però, decideranno fra pochissimi giorni e sapremo fino a che punto gli endorsement della stragrande maggioranza dei giornali hanno centrato il bersaglio.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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