di DOMENICO MACERI* – “Il nostro nuovo presidente non ha molta esperienza con il lavoro legislativo ed aveva aspettative eccessive sulla rapidità del processo democratico”. Con questa parole Mitch McConnell, senatore del Kentucky e presidente del Senato, ha reagito ad alcune durissime dichiarazioni di Donald Trump che avevano rimproverato il Senato per avere fallito l’obiettivo di approvare la revoca dell’Obamacare.
Trump ha quasi immediatamente ribattuto dicendo che i repubblicani hanno parlato per sette anni della revoca di Obamacare ma sono stati incapaci di ottenerla. Se in passato c’era Barack Obama alla Casa Bianca che avrebbe imposto il suo veto adesso Trump è rimasto con la penna in mano per firmare una legge che non è mai arrivata.
È raro che il presidente e il leader del Senato dello stesso partito si attacchino a vicenda, ma Trump non è un presidente tipico. Quando qualcosa non funziona cerca un capro espiatorio che non è mai lui. Nel caso della revoca di Obamacare il responsabile additato è stato McConnell.
Il senatore del Kentucky è uno della lunga serie di individui a subire gli attacchi di Trump che non hanno nemmeno risparmiato persone a lui fedelissime come Jeff Sessions, l’attuale procuratore generale. Esattamente come nel caso di Sessions, l’establishment repubblicano ha preso le difese di McConnell. Parecchi luminari del Senato repubblicano come Orrin Hatch dello Utah, John Cornyn del Texas, numero 2 al Senato, e persino Susan Collins del Maine, che ha votato per silurare la revoca di Obamacare, hanno lodato il lavoro di McConnell.
Difatti, McConnell ha ha dato un contributo notevole al suo partito, anche se non necessariamente a beneficio del Paese. Il leader del Senato è riuscito a bloccare la nomina di Merrick Garland che Obama aveva scelto per sostituire Antonin Scalia alla Corte Suprema. Poi con l’elezione di Trump si è avuta la nuova nomina di Neil Gorsuch, che è stato confermato alla Corte Suprema.
Ostruire però è il grande talento di McConnell. Fare approvare leggi è un’altra cosa, in parte perché sono necessari 60 voti per procedere in Senato. Quando i 48 senatori democratici rimangono compatti possono facilmente bloccare l’agenda legislativa. Nel caso della revoca di Obamacare solo 51 voti erano necessari perché il disegno di legge era stato proposto come riconciliazione al bilancio, evitando la soglia dei 60 voti. Nonostante questo, McConnell non è riuscito a trovare i voti necessari data la compattezza negativa dei 48 democratici e i 3 senatori repubblicani che si sono schierati contro il loro partito.
Il problema, con la revoca di Obamacare, però, è stato con il contenuto scadente della legge, che, secondo i sondaggi, solo il 20 per cento degli americani approvava. Anche i cittadini poco informati sapevano che tra 20 e 30 milioni di americani avrebbero perso l’assicurazione medica con la riforma repubblicana. McConnell ha fatto tutto il possibile affrettando i tempi e creando il disegno di legge in segreto senza chiedere la partecipazione dei democratici. Trump voleva la “vittoria” legislativa senza però preoccuparsi del contenuto della legge e dei possibili danni per gli americani. Ma anche dal punto di vista del processo legislativo lui non è riuscito ad aiutare McConnell a racimolare un voto al Senato nonostante l’immagine di grande negoziatore che proclama di incarnare.
Il fatto che Trump non riesce a mantenere buoni rapporti con i membri del suo partito non dovrebbe sorprendere nessuno. La sua pratica è tipica e chiunque lo delude diventerà bersaglio per i suoi tweet offensivi. I repubblicani devono dunque continuare a sopportare i comportamenti del loro leader anche quando prende posizioni aberranti. Lo si è visto recentemente con le asserzioni dell’inquilino della Casa Bianca sulla vicenda di Charlottesville. Dopo avere tentennato, Trump ha letto un breve messaggio prendendo le distanze dai gruppi suprematisti. Poi in una conferenza stampa bizzarra è ritornato sulla linea che la colpa per l’accaduto cadeva sui due gruppi, quelli di destra e di sinistra.
La sua mancata denuncia dei gruppi suprematisti è stata corretta da quasi tutti i leader repubblicani, la stragrande maggioranza dei quali non ha però fatto riferimento diretto alla posizione ambigua del presidente. Lindsey Graham, senatore della South Carolina, si è però indirizzato direttamente a Trump dicendo che le parole del presidente “dividono l’America invece di creare armonia”. Molto più dura la reazione del senatore Bob Corker del Tennessee, che ha condannato Trump dicendo che “il presidente non ha dimostrato fino ad oggi né la stabilità né la competenza” per avere successo. Ancora più dura la reazione di Tim Scott, della South Carolina, l’unico afro-americano al Senato, il quale ha detto che il presidente non ha “dimostrato chiarezza e autorità morale con la sua mancata denuncia dei suprematisti”.
Se solo pochi leader repubblicani hanno alzato il dito contro Trump, quelli delle corporation lo hanno disertato in massa. La maggioranza degli amministratori delegati che facevano parte di due consigli presidenziali sull’economia hanno dato le dimissioni a causa della posizione di Trump sui gruppi di estrema destra.
L’establishment repubblicano continua però a sperare che esist un Trump responsabile e che uno di questi giorni si farà vivo. La loro pazienza non è però infinita. Trump non cambierà perché gli sarebbe impossibile farlo senza perdere il supporto della sua base. La sua mancata denuncia dei gruppi nazisti ce lo conferma. Trump spera ancora che McConnell rivisiti la riforma sulla sanità e che gli produca altre leggi sulla riforma fiscale e le infrastrutture.
Al momento però l’agenda legislativa sembra difficile da intravedere. Se McConnell non è riuscito a trovare 51 senatori per la riforma della sanità dovrà cercare di estendere il ramo di ulivo ai democratici. Non sarebbe una cattiva idea.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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