di DOMENICO MACERI* – “Il fatto è che il presidente sta ostruendo la giustizia, impegnato in un insabbiamento”. Queste le parole durissime di Nancy Pelosi, speaker della Camera, mentre commentava la questione del possibile impeachment di Donald Trump. Qualche giorno dopo, Trump, adirato da queste aspre parole, ha reagito ponendo fine dopo solo tre minuti a un incontro sulle infrastrutture con la Pelosi e Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato. In una conferenza stampa nel Rose Garden, Trump ha poi dichiarato che lui “non persegue insabbiamenti”.
Gli scontri verbali fra i due sono continuati nei giorni successivi e la Pelosi ha alzato i toni suggerendo alla famiglia o all’amministrazione del presidente di intervenire su Trump per ricondurlo sulla strada giusta. Il 45esimo presidente ha controbattuto immediatamente dichiarando che la Pelosi è “pazza” e che lui è “un genio molto stabile”, espressione usata spesso da Trump per cercare di giustificare alcuni suoi comportamenti poco ortodossi. Trump e i suoi alleati hanno continuato i loro attacchi alla Pelosi, cadendo nel ridicolo con la distribuzione di un video manipolato dove si vede la speaker della Camera balbettare durante una conferenza stampa per insinuare che fosse ubriaca o poco lucida. Trump ha condiviso il video nonostante il fatto che anche la Fox News lo abbia classificato come falsato.
Purtroppo anche Rudy Giuliani, l’avvocato “televisivo” di Trump, ha condiviso il video, aggiungendo legna al fuoco per deridere la leader democratica. Il video è apparso su Facebook ed altri social media ed è stato cliccato da parecchi milioni di utenti. YouTube lo ha rimosso appena stabilito che si trattava di un falso, ma i dirigenti di Facebook si sono rifiutati di seguire la stessa strada asserendo che vogliono lasciare al pubblico di decidere da soli.
Per dimostrare che lui aveva ragione, Trump si è anche esibito in una “scenetta” con parecchi suoi collaboratori, telecamere presenti, dove lo si vede impegnato a chiedere loro quale era stato il suo comporamento nell’incontro con Pelosi e Schumer. Tutti coloro che sono chiamati in causa hanno risposto che il loro capo si era comportato pacatamente. Ovviamente non potevano dire altrimenti poiché di tratta di individui che lo conoscono bene e si rendono conto dell’importanza di assecondarlo.
Trump però ha dichiarato ai giornalisti che non coopererà con i democratici su infrastrutture o altri programmi se loro continuano a investigare su suo operato. Si tratta, secondo lui, di una continua caccia alle streghe, come era stata l’indagine del Russiagate. Ciononostante alcuni dei suoi collaboratori si trovano già in carcere, ma Trump non è stato incriminato. Il Congresso, però, continua a indagare tramite le sue commissioni e il 45esimo presidente ha deciso che sfiderà tutte le subpoena che i parlamentari democratici continuano a inviare. Fino ad ora il sistema giudiziario si è schierato coi democratici, ma Trump spera che queste richieste di informazioni vengano esaminate alla fine dalla Corte Suprema, dove crede di uscirne vincitore.
Nel frattempo, Trump ha deciso che non svolgerà i suoi compiti legislativi e non coopererà coi democratici. In un certo senso si sbaglia, specialmente nel caso delle infrastrutture. Si tratta di un tema condiviso da tutti poiché bisogna investire per il futuro. Trump potrebbe uscirne vincitore poiché un accordo coi democratici dimostrerebbe a tutti che può governare in modo bipartisan, dando prova di essere il grande negoziatore che si è sempre vantato di essere.
Ma al di là dei capricci di Trump, un accordo sulle infrastrutture sarebbe molto utile al Paese anche se politicamente poco vantaggioso per i democratici. Una cooperazione con Trump gli conferirebbe l’immagine di un leader tradizionale, legittimandolo, anche se non completamente, come “presidenziale”. Conferirebbe a Trump una vera vittoria legislativa poiché nei due anni e mezzo di presidenza può solo additare la riduzione delle tasse come suo unico risultato, che, è bene ricordarlo, ha però favorito in grande misura i benestanti. Ovviamente ci sarebbe il nodo del supporto dei repubblicani, i quali non sono propensi a spendere soldi, e quindi Trump avrebbe dovuto convincerli con le buone o con le cattive.
Con cooperazione o no, i democratici continueranno le loro indagini e giorno dopo giorno sembra che Pelosi si stia dirigendo verso la presa di posizione dell’ala sinistra del suo partito, che ha già deciso sulla necessità di sottoporre Trump all’impeachment. La speaker però continua ad avere dubbi sulla saggezza di una tale manovra. Lei crede che, anche se la Camera, dominata dal suo partito, avrebbe la meglio in una votazione sull’impeachment, in Senato occorrerebbero 60 voti per condannare Trump. La Pelosi crede che l’impeachment senza la condanna del Senato aiuterebbe Trump a essere rieletto nel 2020. Questa in sintesi la considerazione manifestata a un gruppo di leader democratici in un incontro privato.
La Pelosi potrebbe cambiare idea specialmente dopo il recentissimo discorso di Robert Mueller, il procuratore speciale sul Russiagate. In otto minuti Mueller ha reiterato le conclusioni inserite nel suo rapporto. I russi – sostiene – hanno interferito nell’elezione americana del 2016 per aiutare Trump. E questa interferenza dovrebbe preoccupare tutti gli americani, secondo Mueller. Per quanto riguarda l’ostruzione alla giustizia e la possibile colpevolezza di Trump, Mueller ha ripetuto che il suo rapporto non esonera il presidente e se “non avesse commesso un reato” il rapporto lo avrebbe confermato.
Con riguardo alla colpevolezza del presidente, Mueller ha anche riconfermato, come si legge nel rapporto, che un presidente in carica “non può essere incriminato”, seguendo la direttiva del ministero di giustizia. Mueller ha di nuovo aggiunto che la Costituzione prevede un iter per giudicare il presidente. La strada suggerita da Mueller è l’impeachment. Per la Pelosi sta diventando sempre più difficile escludere una tale ipotesi, specialmente considerando che Justin Amash, parlamentare repubblicano del Michigan, ha affermato che il rapporto di Mueller non lascia alternative.
*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).
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