di DOMENICO MACERI* – Quando il giudice della Corte Suprema John Paul Stevens andò in pensione nel 2010 il senatore Orrin Hatch, repubblicano dell’Utah, disse che il presidente Barack Obama lo avrebbe potuto rimpiazzare con Merrick Garland, un candidato che avrebbe avuto la conferma con consenso “bipartisan”. Quella volta Obama scelse Elena Kagan, ma recentemente ha esaudito il desiderio di Hatch nel sostituire Antonin Scalia, morto il 13 febbraio scorso, con Merrick Garland (nelle foto in basso con Obama). Hatch questa volta però ha cambiato idea dicendo che adesso la cosa migliore sarebbe stata aspettare che il nuovo presidente si insedi alla Casa Bianca (cioè nel gennaio del 2017).
Ipocrisia? Ovviamente. Obama invece ha attuato la sua decisione, come richiede la Costituzione, ed ha nominato un giudice altamente qualificato. La leadership repubblicana però continua ad insistere che non considererà la nomina perché Obama è all’ultimo anno della sua presidenza.
Ciononostante, la linea intransigente dei repubblicani comincia a frantumarsi e otto senatori hanno detto che si incontreranno con Garland, incluso il senatore Charles Grassley, presidente della Commissione Giustizia del Senato. Ciò non vuol dire che Garland sarà confermato, ma dovrebbe indurre i senatori repubblicani a prenderlo favorevolmente in considerazione considerando che all’orizzonte si profila la possibilità che Hillary Clinton, se sarà lei il nuovo presidente, possa fare una nomina ancor più liberal.
Obama, da buon centrista, non ha fatto altro che nominare una persona che ha buonissime possibilità di essere accettata date le sue credenziali moderate, anche se tendono lievemente a sinistra.
Ricordiamo che Garland fu nominato dal presidente Bill Clinton nel 1995 giudice della Corte di Appello di Washington D.C. della quale adesso è il presidente. Dopo aver conseguito due lauree dalla Harvard University ha esercitato la professione da privato e poi ha iniziato il suo servizio per il governo distinguendosi per le indagini coordinate sull’attentato di Oklahoma City, che si conclusero con la condanna a morte di Timothy McVeigh nel 2001.
Garland è considerato qualificato sia dalla sinistra che dalla destra. Quindi la sua conferma sarà determinata puramente da questioni politiche. Obama ha agito di astuzia nominando un magistrato che i repubblicani hanno già approvato a grande maggioranza per la Corte di Appello nel 1997.
Ciononostante, alcune voci di disappunto sono arrivate dalla sinistra: il gruppo liberal NOW (National Association of Women) lo considera frutto di una scelta poco favorevole; dal lato opposto la NRA (National Rifle Association) appare contrariata specialmente per le decisioni di Garland sul possesso di armi da fuoco. Le sue esperienze ci lascia immaginare però che, se confermato, Garland non sposterebbe l’ago della bilancia necessariamente verso sinistra ma diventerebbe un altro Anthony Kennedy, attuale giudice della Corte Suprema, i cui voti fanno piacere a volte alla sinistra, ma a volte anche alla destra.
Evitando di scegliere un giudice liberal Obama ha messo i repubblicani in imbarazzo offrendo loro una scelta accettabile che difficilmente potranno rifiutare. Ecco perché alcuni senatori hanno già lanciato segnali, annunciando che si incontreranno con il neo nominato. Ciò è comprensibile anche dal punto di vista politico al livello senatoriale. Sette senatori devono correre per la loro rielezione in Stati dove i voti degli indipendenti tendenti verso Obama saranno necessari per la loro vittoria. Ad aumentare le incertezze di questi senatori si profila anche la probabile nomination di Donald Trump come portabandiera del Partito Repubblicano. Una tale eventualità fa prevedere non solo una sconfitta del Gop alle presidenziali di novembre ma anche la possibile perdita della maggioranza repubblicana al Senato.
I sondaggi ci dicono anche che gli americani hanno capito il gioco dei repubblicani e che il loro annuncio di non voler confermare la nomina di Garland alla Corte Suprema fatta da Obama nell’ultimo anno di carica presidenziale non è altro che ipocrisia. Un sondaggio del Washington Post/ABC News ha rivelato che il 63 per cento degli americani crede che il Senato dovrebbe valutare la nomina e pronunciarsi solo se se confermarla o meno.
Il presidente del Senato Mitch McConnell continua a dire che il “popolo americano deve avere una voce nella nomina del sostituto di Scalia” attraverso le elezioni presidenziali. McConnell dimentica che la di fiducia popolare nell’attuale presidente degli Stati Uniti è stata espressa già due volte: nel 2008, quando gli americani elessero Obama, e nel 2012 quando lo rielessero per il secondo mandato. La motivazione di McConnell, quindi, non ha alcun fondamento, ed anzi appare antidemocratica, perché in contrasto con la fiducia manifestata e ribadita dall’elettorato americano a Barack Obama.
* Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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