“Non so niente di WikiLeaks”. Ecco la reazione di Donald Trump poco dopo l’arresto di Julian Assange a Londra in seguito all’espulsione dall’ambasciata ecuadoriana. Il fondatore di WikiLeaks vi si era rifugiato nel 2012 onde sfuggire all’estradizione in Svezia per le accuse di stupro e molestie sessuali di cui era stato accusato. Trump però nella campagna elettorale del 2016 aveva menzionato WikiLeaks più di 140 volte, ripetendo in più di 14 occasioni che lui “adorava WikiLeaks”.
Si sa benissimo che Trump cambia idea e dimentica o sostiene di avere detto o non avere detto qualcosa anche quando le prove lampanti ci dicono il contrario. Ma al di là della veridicità delle asserzioni del 45esimo presidente i legami con WikiLeaks ci sono stati e non sono affatto insignificanti.
In uno dei momenti più bui della campagna elettorale dell’attuale inquilino alla Casa Bianca, Assange ha dato una grossa mano a Trump. Con la divulgazione del video di Access Hollywood, in cui si sente Trump dire che come star lui può fare quello che vuole con le donne, persino prenderle dalle “parti intime”, WikiLeaks lo ha aiutato e non poco. La notizia del video era avvenuta il 10 ottobre 2016 e sembrava che la campagna del tycoon stesse per implodere. Si credeva a quei tempi che senza il video Trump avesse il 25 percento di possibilità di sconfiggere Hillary Clinton. La divulgazione del video aveva ovviamente diminuito le sue chance. Mentre Trump e i suoi collaboratori stavano freneticamente cercando di spiegare l’orrenda dichiarazione di Trump sulle donne che si aggiungeva a molte altre fatte in precedenza, Assange ha rilasciato la prima parte delle e-mail di John Podesta, amico dei Clinton, e a quei tempi direttore della campagna elettorale di Hillary. Il contenuto delle e-mail mirava a creare l’immagine di Bernie Sanders come truffato della nomination per convincere i sostenitori del senatore del Vermont a non votare per la Clinton. Il rilascio delle e-mail ha avuto l’effetto programmato di distrarre l’attenzione mediatica dal video, sminuendo, anche se non eliminando completamente, la bufera delle rivelazioni compromettenti.
Si è saputo più tardi che Assange aveva ottenuto queste e-mail dalla intelligence russa sotto la maschera di Guccifer 2.0. Il rilascio delle e-mail intendeva ovviamente aiutare Trump e, forse meglio per i russi, di fomentare confusione e incertezze nell’elezione americana per dimostrare la corruzione della loro democrazia.
I legami di Assange con Trump non sono stati diretti ma le ultime informazioni venute a galla in parte mediante Michael Cohen, ex avvocato di Trump, nelle sue testimonianze alla Camera, ci dicono che Roger Stone, collaboratore di Trump nella campagna elettorale, aveva fatto da intermediario.
I contatti di Assange con Trump, però, ci vengono anche dimostrati da e-mail inviate dal fondatore di WikiLeaks a Donald Trump Junior in cui gli offre consigli politici sul miglior metodo di sfruttare le e-mail di Podesta. In particolare, Assange consiglia al primogenito di Trump siti internet dove ottenere massima distribuzione e incoraggia l’allora candidato di usarli nei suoi tweet. La mattina dell’elezione, quando ancora tutti prevedevano la vittoria di Hillary Clinton, Assange ha mandato un’altra e-mail a Donald Junior consigliando che il padre non dovrebbe accettare la sconfitta e che dovrebbe sfidare i risultati, sostenendo corruzione nel sistema elettorale.
Perché Assange ha deciso di aiutare Trump dopo che lui si era fatto un nome rivelando notizie rubate sulle atrocità commesse da forze militari americane in Iraq nel 2009 sulle quali il governo statunitense avrebbe chiuso non uno ma ambedue gli occhi? La divulgazione di documenti trafugati non aveva dunque reso Assange persona grata agli americani. Si crede però che Assange volesse uscire dall’ambasciata ecuadoriana dove in effetti era divenuto carcerato per i limiti imposti dal nuovo presidente ecuadoriano Lenín Moreno, eletto nel 2017. Il nuovo presidente era stato vittima di fuga di notizie e foto compromettenti per le quali il governo ecuadoriano aveva addossato la responsabilità ad Assange. Considerando altri comportamenti poco gradevoli come lo spargimento di feci sui muri dell’ambasciata e il costo di un milione di dollari di spese annue per Assange, Merino non ne ha potuto più e ha deciso di buttarlo fuori.
La polizia inglese lo ha subito arrestato perché Assange aveva violato la libertà condizionale nel 2012 e si era rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana accettando l’asilo politico di Rafael Correa, l’allora presidente dell’Ecuador.
Non potendo continuare ad abitare all’ambasciata ecuadoriana, dove la sua situazione era in effetti divenuta un carcere, Assange avrà cercato una via d’uscita che gli sarebbe potuta arrivare attraverso Trump. Secondo un articolo pubblicato nella rivista The Atlantic, Assange, cittadino australiano, aveva suggerito a Donald Trump junior, che il padre avrebbe potuto esercitare pressioni sul governo australiano affinché lo nominasse ambasciatore negli Stati Uniti. Inoltre, Roger Stone, consigliere di Trump incriminato per avere mentito sulle sue comunicazioni su WikiLeaks, avrebbe confidato ad alcuni suoi collaboratori che Assange potrebbe ricevere una grazia in caso fosse estradato negli Stati Uniti.
Il dipartimento di Giustizia di Trump ha richiesto l’estradizione di Assange accusandolo di avere cospirato con Chelsea Manning per ottenere documenti segreti illegalmente e di avere tentato di aiutarla a hackerare una password per ottenere altri documenti segreti. Se estradato in America e condannato per quelle accuse, potrebbe andare in carcere per 5 anni. Le accuse di stupro e di molestie sessuali potrebbero però portare Assange ad essere estradato in Svezia che ha di recente riaperto l’inchiesta. Si teme che se gli Stati Uniti vincessero la contesa con la Svezia e riuscissero a processare Assange, ulteriori accuse più pesanti potrebbero emergere, anche se gli accordi bilaterali di estradizione fra Stati Uniti e Gran Bretagna permettono solo un processo sui capi d’accusa nella richiesta di estradizione. Una possibile estradizione negli Stati Uniti potrebbe anche condurre a fare chiarezza sulle ipotizzate interferenze nell’elezione americana, che ovviamente non farebbe piacere a Trump.
*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).
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