di DOMENICO MACERI* – “Donald Trump ha fatto il più grande sbaglio della sua presidenza”. Così tuonava l’editoriale del Wall Street Journal nel commentare l’ordine del 45esimo presidente di imporre dazi del 25 per cento sull’acciaio e 10 per cento sull’alluminio. La Casa Bianca ha spiegato che la misura difenderà posti di lavoro in America e rafforzerà la sicurezza nazionale, ma la reazione ai dazi è stata quasi unanimemente negativa creando una frattura fra Trump e il Partito Repubblicano e confusione nei partner commerciali.
I rapporti fra Trump e il suo partito sono stati spinosi ma la leadership del Gop (Grand Old Party) ha chiuso più di un occhio considerando i comportamenti poco ortodossi dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Gli attacchi di Trump ai diversi gruppi etnici, la sua spavalderia nei suoi rapporti con le donne, le falsità a valanga, e persino gli attacchi a leader repubblicani per non essere riusciti ad approvare la revoca dell’Obamacare sono stati messi da parte. Trump è il presidente e ne hanno bisogno per firmare le loro leggi come ha fatto con la riforma fiscale e le nomine di giudici conservatori.
L’annuncio dei dazi però è stato condannato da quasi tutti i leader del Gop. Paul Ryan, speaker della Camera, ha avvertito il presidente sulle “conseguenze collaterali” negative. Mitch McConnell, presidente del Senato, ha rilevato “un alto livello di preoccupazione” perché potrebbe nascerne “una vasta guerra commerciale” mettendo un freno alla crescita economica. Altri hanno visto un’equivalenza fra dazi e tasse che alla fine colpiranno i consumatori con prezzi più alti. Inoltre, le reazioni negative repubblicane ai dazi riflettono il riconoscimento di un tradimento alle corporation e ia loro profitti che potrebbero ovviamente erodere i contributi elettorali al loro partito. In particolar modo i dazi preoccupano poiché un impatto negativo sull’economia si tradurrebbe in esiti negativi alle elezioni di midterm del mese di novembre di quest’anno.
I think tank sia di destra che di sinistra si sono scagliati anche loro contro i dazi. Questi includono l’Heritage Foundation e il Cato Institute, gruppi conservatori, ma anche la Brookings Institution e il Center for Economic and Policy Institute che tendono a sinistra. Gli elettori sono anche contrari ai dazi come ci conferma un sondaggio della Quinnipiac University. I dazi annunciati da Trump creerebbero 30.000 nuovi posti di lavoro nell’industria siderurgica ma potrebbero causare una perdita di 146.000 in altre industrie a causa di probabili rappresaglie dall’Unione Europea ma anche da altri Paesi asiatici.
Trump ha dichiarato che le guerre commerciali sono positive e che si possono “vincere facilmente”. Si sbaglia, secondo Christine Lagarde, direttrice dell’International Monetary Fund, la quale ha annunciato che “nessuno vince” con le guerre commerciali. Lo ha capito Gary Cohn, il principale consigliere economico di Trump, il quale si è dimesso non condividendo la decisione sui dazi. Trump forse ha già cominciato a capire le conseguenze della sua decisione. Ecco come si spiegano già le annunciate esenzioni per il Messico e il Canada. Altre esenzioni sono già in discussione e alla fine se ne potrebbero aggiungere di più che ridurrebbero l’efficacia senza però eliminare l’amaro in bocca ad altri partner commerciali.
Un centinaio di parlamentari ha inviato una lettera al presidente esprimendo la loro “seria preoccupazione” sul tema dei dazi. Nonostante tutto, il Congresso ha storicamente dato ampia autorità al presidente per mettere in pratica gli accordi sul commercio internazionale. Un tentativo per frenare il potere del presiedente in questa area è stato però fatto mediante un disegno di legge introdotto dal parlamentare repubblicano Mike Lee dello Stato del Utah. Anche il senatore Jeff Flake, repubblicano dell’Arizona, ha introdotto un disegno di legge che bloccherebbe i dazi. Nessuno dei due però ha molte chance di successo.
In sintesi i poteri del presidente sono notevoli e gli annunci sul dazio e l’altro sul sorprendente incontro con Kim Jong-un ce lo confermano, ma rivelano altresì la volubilità di Trump. Servono anche politicamente a dettare i cicli mediatici cercando di mascherare altri problemi come l’affaire Stormy Daniels, la pornostar che avrebbe avuto un rapporto extra coniugale con Trump e la sua preoccupazione per le indagini sul Russiagate. Ecco come si spiega che Trump ha assunto Emmet Flood, un avvocato che possiede esperienze con presidenti che hanno avuto seri problemi con l’impeachment. Flood ha infatti rappresentato Bill Clinton durante la sua crisi che lo condusse all’impeachment della Camera nel 1998 ma fu poi assolto dal Senato nel 1999.
L’annuncio di Trump sui dazi continua a confermare che il presidente fa il repubblicano quando gli conviene ma ritorna con frequenza alle sue radici populiste sull’immigrazione, il commercio, la legge e le relazioni internazionali. Spesso l’emergenza delle sue tendenze populiste suggerisce che il Partito Repubblicano appartiene a lui e lo può ridefinire per i suoi scopi politici ma anche personali con poche conseguenze. Cerca anche di definire i rapporti internazionali con esiti poco positivi per l’America e il resto del mondo.
*Doemenico Maceri è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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