di DOMENICO MACERI* – Laura Ingraham, conduttrice di un programma alla Fox News e grande sostenitrice di Donald Trump, ha recentemente accettato l’idea che Joe Biden è stato eletto, ammettendo che “bisogna vivere nella realtà”. La realtà era già nota da parecchie settimane ma Ingraham, e soprattutto Trump, non la volevano accettare. Il presidente uscente, infatti, come ha fatto in tanti altri casi, ha tentato di tutto per ribaltare la realtà obiettiva, fabbricandosi una visione personale di…vittoria nell’elezione del 2020. Trump è riuscito a mantenere viva questa sua visione con l’aiuto del suo partito, conducendo il Paese vicino a una crisi costituzionale e allo stesso tempo facendoci vedere la fragilità della democrazia americana. Alla fine però, poco a poco, i legislatori statali e locali repubblicani, molto più che quelli federali, si sono resi conto che la democrazia vale più del loro partito e hanno fatto il loro dovere.
Trump da parte sua non ha ancora ammesso la vittoria di Biden pur avendo dato il via libera alla transizione, accettando di procedere con le pratiche formali per il trasferimento di fondi federali e le informazioni necessarie alla nuova amministrazione, ma poi esortando i suoi supporter addirittura a “ribaltare” il responso delle urne. La sua riluttanza quindi ad accettare la realtà ci ha aperto gli occhi sul pericolo di un individuo che dava chiari segnali di volersi prendere il potere, cancellando la democrazia che esiste in America da più di tre secoli. Le cifre complete dell’esito elettorale non sono ancora disponibili al 100% ma vi erano già abbastanza dettagli per determinare il vincitore presidenziale.
Trump aveva già preparato durante la campagna elettorale il terreno per contestare l’esito delle elezioni asserendo che i voti per corrispondenza avrebbero truccato l’elezione. Si tratta di una grande falsità ma anche di ipocrisia. Trump sa benissimo che il voto per corrispondenza non gli crea problemi, come si vede chiaramente dallo Stato dell’Utah, che ha una storia abbastanza lunga di elezioni prevalentemente per corrispondenza. Nessun broglio in Utah per Trump perché, dopotutto, si tratta di uno Stato affidabilmente “red”, ossia che vota sempre per i repubblicani. Nemmeno vi è stata alcuna critica sulla Florida dove molti elettori anziani votano per corrispondenza, e, guarda caso, anche quest’anno ha dato la maggioranza dei suoi consensi al presidente uscente.
Per Trump i brogli sono avvenuti in quegli Stati che lui ha perso, specialmente il Michigan, la Pennsylvania, la Georgia, il Wisconsin, l’Arizona e il Nevada, che gli hanno negato la rielezione. Per cercare di ribaltare gli esiti annunciati dai media e poco a poco degli Stati che hanno certificato i risultati, Trump ha continuato la sua campagna di tweet velenosi in cui ha ripetuto (e continua a ripetere) che alla fine lui vincerà. Questo gli è stato utile per appagare la sua base ma anche per fare richiesta di contributi per le spese legali che dovrebbero condurre alla vittoria. I suoi sostenitori però forse non avranno notato che il 60% di questi contributi possono essere usati anche per saldare i debiti della campagna elettorale piuttosto che per pagare gli avvocati da lui assunti.
Questi avvocati hanno procurato pochissimi successi all’attuale inquilino della Casa Bianca. Caso dopo caso i tentativi legali di Trump hanno fallito in parte per il contenuto fasullo delle denunce ma anche per l’incapacità dei rappresentanti, capitanati da Rudy Giuliani, ex sindaco di New York e grande sostenitore dell’ex tycoon. Giuliani, però, ha lavorato nel campo legale come se si trattasse di un reality per le televisioni via cavo e le sue asserzioni si sono squagliate proprio come è successo alla sua tintura dei capelli in un video divenuto virale che ha fatto il giro del mondo. A completare il quadro irreale dei suoi sforzi giudiziari è stato l’ovvio complottismo dell’avvocatessa Sidney Powell, la quale aveva dichiarato che l’elezione era stata truccata mediante il software usato per contare i voti. Secondo Powell, si tratta di un software di origine venezuelana ideato da Hugo Chavez (morto nel 2013!). Queste asserzioni erano troppo esagerate persino per Trump, che l’ha licenziata senza però essersi preoccupato del modo in cui l’aveva assunta.
Le azioni più pericolose di Trump per ribaltare l’esito delle elezioni sono state quelle di mettere pressioni sui legislatori statali per dichiarare illegali le elezioni, il che permetterebbe agli Stati di scegliere i grandi elettori che eleggono il presidente senza tenere conto del volere degli elettori. In effetti, Trump voleva che si bypassassero i voti dei cittadini per conquistarsi la maggioranza dei voti elettorali. Trump ha avuto successi limitati anche con questa strategia. Il 45esimo presidente si era incontrato alla Casa Bianca con i leader repubblicani del Michigan per convincerli a bloccare la certificazione della vittoria di Biden in quello Stato. Dopo l’incontro questi sono stati fotografati all’Hotel di Trump di Washington mentre bevevano champagne Dom Perignon, che secondo informazioni, costerebbe 800 dollari a bottiglia. Dei quattro responsabili per la certificazione dell’elezione nel Michigan, vinta da Biden con un margine di 155mila voti, uno dei due repubblicani ha votato per Trump ma l’esito gli è stato sfavorevole.
Nel caso della Georgia, vinta da Biden con un margine di quasi 13mila voti, confermati dal riconteggio, Trump aveva messo pressioni sul governatore repubblicano Brian Kemp per bloccare la certificazione per presunta frode elettorale. Kemp si è rifiutato nonostante gli aiuti ricevuti da Trump nella sua elezione a governatore due anni fa.
Non c’è stata frode elettorale nell’elezione del 2020. Lo ha persino confermato la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, un’agenzia del governo federale, diretta da Chris Krebs, il quale era stato nominato da Trump. L’annuncio di Krebs non ha fatto piacere al presidente uscente e lo ha subito subito licenziato come spesso fa con subordinati che lo contraddicono.
Nonostante il fallimento del tentativo di Trump di ribaltare l’esito delleelezion che ha ovviamente perso, il danno fatto alla realtà condivisa e soprattutto alla democrazia americana è grave. Il presidente uscente ha tracciato la strada a futuri politici con simili tendenze autoritarie a seguire il suo esempio. Nel 2020 la democrazia ha vinto, ma le azioni di Trump ci hanno rivelato che il sistema politico americano è fragile e un altro leader più abile di lui potrebbe in futuro condurre a esiti molto più pericolosi.
*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@hotmail.com).
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