di DOMENICO MACERI* – “Proteggeremo la nostra comunità e le nostre famiglie affinché possano vivere in pace e sicurezza”. Con queste parole il sindaco Jorge Elorza di Providence, Rhode Island, figlio di guatemaltechi venuti in America illegalmente ma adesso cittadini americani, cercava di calmare l’ansia degli immigrati dopo l’elezione di Donald Trump. Elorza non è l’unico sindaco di una città statunitense a dichiarare la sua opposizione alla retorica del neoeletto presidente contro gli immigrati. I suoi colleghi delle maggiori metropoli americane come New York, Los Angeles, Chicago, San Francisco, Denver, Boston, Philadelphia ed altre hanno espresso sentimenti molto simili opponendosi al clima creatosi non solo con l’aspra retorica di Trump durante la campagna elettorale ma anche con la sua dichiarata intenzione di deportare 2 o 3 milioni di clandestini che lui considera criminali.
Come spesso fa con molte situazioni Trump spara senza però avere le necessarie informazioni e senza consultarsi con i suoi collaboratori per considerare tutte le conseguenze delle sue azioni. Dire, per esempio, che 2 o 3 milioni di clandestini sono criminali senza avere prove non fa altro che creare allarme tra gli undici milioni di clandestini e molti altri dei loro familiari che avranno il permesso legale di essere nel Paese o avranno anche la cittadinanza americana. In effetti la sparata di Trump ha causato la presa di posizione di molti sindaci che si opporranno a quella linea e difenderanno le famiglie dei loro concittadini.
I sindaci fanno parte di “città santuario” che hanno promesso di non cooperare con il governo federale per la deportazione di immigrati, eccetto i casi di veri crimini. In America esistono più di 500 di queste città che si sono dichiarate “santuario“, anche se non esiste una definizione legale del termine. Sono caratterizzate però da provvedimenti locali per porre limiti alla cooperazione fra polizia locale e federale in questioni di immigrazione.
Trump ha minacciato di togliere i fondi federali a queste città santuario che in linea generale sono parti del Paese in blue states che non hanno votato per il neoeletto presidente. L’eliminazione di fondi federali potrebbe avere conseguenze negative nei bilanci di queste metropoli anche se Trump non avrebbe vita facile per implementarla. Questi fondi sono legati alla legislazione, quindi si tratta di minacce difficilmente attuabili. La più grande preoccupazione però riguarda alcuni casi in cui il potere del presidente sarebbe difficile da mitigare, specialmente sui “dreamers”, giovani venuti in America da bambini e cresciuti in questo Paese a cui Obama ha dato benefici attraverso la residenza temporanea mediante il suo ordine esecutivo Daca (Deferred Action for Childhood Arrivals). Trump potrebbe abrogare questo ordine esecutivo creando caos a questi giovani e alle loro famiglie. Deportare questi giovani in paesi che loro non conoscono sarebbe una tragedia perché questi individui sono americani a tutti gli effetti, eccetto per la mancanza di documenti.
La differenza di vedute fra questi sindaci e Trump riguardo all’immigrazione riflette un esempio tipico di conflitto fra governo federale e locale specialmente quando partiti diversi controllano il potere politico. Lo si è visto parecchi anni fa quando alcuni Stati controllati da repubblicani come l’Arizona, la Georgia e l’Alabama, stufi dell’inazione del governo sull’immigrazione, hanno approvato leggi locali anti-immigranti. In Arizona, per esempio, Joe Arpaio, lo sceriffo del Maricopa County, iniziò un campagna per rimuovere i clandestini dal suo Stato abusando però dei diritti civili dei cittadini. Arpaio è stato denunciato per non avere obbedito all’ordine di un giudice di porre fine alle sue attività, considerate abusive nei confronti dei diritti civili di individui di origine ispanica. Il suo processo è adesso in corso e Arpaio rischia sei mesi di carcere.
L’Arizona non è l’unico red state a seguire una politica dura contro gli immigranti. Il governatore del Texas, Greg Abbott, ha dichiarato che firmerà una legge per vietare le città santuario nel Lone Star State. Come classico red state, il Texas non ha molte città santuario eccetto Austin, la capitale, che tende ad essere liberal anche se non un vero santuario propriamente detto.
L’elezione di Trump ha ovviamente aumentatola preoccupazione di molti americani e specialmente degli immigrati. Il Southern Poverty Law Center conferma questo clima riportando più di 700 crimini riconducibili all’odio razziale. Molti altri non vengono riportati. Andrew Cuomo, il governatore dello Stato di New York, preso atto di questa situazione, ha creato un nuovo reparto investigativo per affrontare questi tipi di crimini.
Un’altra nuvola al riguardo ce la fornisce Trump stesso con la sua nomina di Jeff Sessions a procuratore generale. Sessions, da senatore, ha condotto una campagna per tagliare i fondi federali alle città santuario. Se confermato dal Senato, diventerà un altro serio ostacolo alla resistenza delle città santuario per proteggere la famiglie di immigranti.
*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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