OSSERVATORIO ECONOMICO/ Delineato a Jackson Hole il ruolo futuro delle banche centrali per fronteggiare la crisi provocata dal Covid

di MARIO LETTIERI* e PAOLO RAIMONDI** 

A fine agosto si è tenuto il tradizionale simposio economico di Jackson Hole, nello stato americano del Kansas, dove i banchieri centrali regolarmente si incontrano per tracciare la linea sui futuri orientamenti monetari, economici e finanziari globali. Quest’anno, per l’emergenza della pandemia del Covid19, è stato il primo incontro di carattere virtuale. Solitamente ci si aspetta che sia la Federal Reserve americana a indicare la strada maestra. Invece lo ha fatto la più spregiudicata Bank of England. Il suo nuovo governatore, Andrew Bailey, infatti, ha messo in secondo ordine il “salvifico” target d’inflazione del 2% per “applicare le lezioni degli ultimi mesi e anche quelle dell’ultimo decennio o dalla crisi finanziaria del 2007-09 in poi”.

La novità principale, secondo Bailey, è stata la grande e prolungata espansione dei bilanci delle maggiori banche centrali “in appoggio sia alla politica monetaria sia agli obiettivi di stabilità finanziaria”. Soprattutto per fronteggiare la crisi provocata dal Covid. Di conseguenza, in futuro i bilanci delle banche centrali dovranno sempre più essere considerati come uno strumento per la creazione di stimoli monetari, attraverso l’acquisto di asset, cioè di titoli finanziari di vario tipo.

Al riguardo si ricordi che il bilancio della Banca Centrale Europea è aumentato di 1.700 miliardi di euro: da gennaio a luglio si è passati da 4664 a 6360 miliardi. Di questi, non meno di 715 miliardi sono stati immessi nel sistema nel solo mese di luglio.

Il collasso economico attuale ci indicherebbe che la crisi non sarebbe stata generata primariamente nel settore bancario bensì “tra i fondi, i traders e le imprese”. Di conseguenza, la Bank of England propone la strategia del “go Big, go Fast”, cioè di “operazioni aggressive di acquisto di asset”. Se fino ad oggi questi asset sono stati prevalentemente obbligazioni di stato, adesso si propone, invece, di allargare i settori di acquisto, in particolare verso quello corporate, il cosiddetto “corporate debt”. Ciò è giustificato con l’intento di affiancare le banche e i mercati finanziari nel sostegno alle attività economiche, anche se, si ammette, “inevitabilmente si aumenta il rischio gestionale per le banche centrali”.

Si propone, quindi, di rendere centrale e generalizzato l’acquisto di asset privati, finora fatto quasi eccezionalmente dalle banche centrali. Il rischio di cui si parla, in verità, è quello che, incamerando nei loro bilanci titoli potenzialmente tossici o di dubbia esigibilità, le banche centrali possano trasformarsi in vere e proprie “bad banks”.

Per Bailey, un obiettivo rimane sempre “il raggiungimento della sostenibilità del target d’inflazione del 2%”, ma con la necessaria flessibilità per non alzare in modo prematuro il tasso d’interesse qualora la ripresa dovesse incominciare. Più importante è la scelta degli strumenti da usare, che potrebbero includere, in modi più sistematici, anche i tassi d’interesse negativi, gli incentivi alle banche per garantire una certa liquidità e persino l’acquisto da parte delle banche centrali di titoli commerciali appena emessi.

Nel suo discorso di apertura del simposio, il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, è stato molto più blando. Forse per evitare, come già in passato, “gli schiamazzi” di Donald Trump contro di lui nelle ultime settimane di campagna elettorale presidenziale. Powell si è più concentrato a spiegare gli effetti nella politica monetaria dopo la Grande Crisi Finanziaria piuttosto che dare indicazioni più precise sulle politiche attuali e future della Fed.

Di fatto si è limitato ad annunciare un atteggiamento più morbido rispetto alla tradizionale politica monetaria, finora ancorata fermamente al target d’inflazione del 2%. In caso di un simile aumento dei prezzi, la Fed farebbe scattare quasi automaticamente una politica monetaria più restrittiva con un aumento dei tassi d’interesse.  Powell ha parlato di un target d’inflazione media, “average inflation targeting”, facendo intendere un atteggiamento più “flessibile”, più permissivo anche in caso di un aumento dei prezzi superiore al 2%.

In verità si tratta di qualcosa che era già nei fatti e nei comportamenti della Fed. Non è certo la “rivoluzione copernicana” nella politica monetaria che certa stampa ha voluto dipingere. È però un messaggio ai mercati e a Wall Street relativo ai tassi d’interesse zero o addirittura negativi che potrebbero restare più a lungo. In ogni caso è chiaro che l’inflation target rimane, insieme alla comunicazione e alla trasparenza, il pilastro della politica monetaria della Fed.

A nostro avviso, la parte più rilevante del discorso di Powell è quella concernente l’eventuale sostegno diretto alla ripresa economica e all’occupazione. Il governatore ha affermato che “quando l’occupazione è inferiore al suo massimo livello, com’è chiaramente oggi, noi opereremo per correggere questa mancanza usando i nostri strumenti di sostegno alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro”. Anche per l’Europa sarà importante vedere come tale politica potrà manifestarsi concretamente dopo le elezioni presidenziali di novembre.

Da parte sua, Philip R. Lane, il membro irlandese del comitato esecutivo della Banca centrale europea, si è concentrato a dare un dettagliato e oggettivo rapporto sui vari interventi di quantitative easing adottati per fronteggiare l’emergenza economica, occupazionale e finanziaria provocata dalla pandemia. In particolare ha riportato che il programma pandemics emergency purchase program (PEPP), di acquisti da parte della Bce di titoli pubblici e privati in possesso del sistema bancario, originariamente di 750 miliardi di euro, è stato ampliato a 1.350 miliardi. Dovrebbe affiancare il Recovery Fund di 750 miliardi dell’Unione europea per assicurare una forte ripresa delle attività produttive e dell’occupazione. Speriamo che ciò avvenga e, almeno per il nostro paese, non si sprechi questa grande opportunità

Certo, ancora una volta a Jackson Hole non si è affrontata la questione centrale, quella della riforma del sistema finanziario.

*Mario Lettieri già sottosegretario all’Economia **Paolo Raimondi economista

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