di ALFIERO GRANDI* – Perché si è arrivati al referendum costituzionale del 4 dicembre ? E’ bene non dimenticarlo. Si va alle urne il 4 dicembre perché la maggioranza dei parlamentari che ha approvato le modifiche della Costituzione era, sia alla Camera sia al Senato, non raggiungeva la soglia dei due terzi; altrimenti (come previsto dall’ex art. 138) le modifiche della Costituzione non dovevano essere sottoposte a referendum popolare.
Infatti quando Renzi qualche mese fa sbandierava ai quattro venti la volontà di sottoporre la riforma a referendum non faceva altro che annunciare un atto dovuto, non una sua concessione. Del resto la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, che ha introdotto il pareggio di bilancio all’epoca del governo Monti, ebbe l’approvazione dei due terzi dei parlamentari e non fu sottoposta a referendum e ce la siamo tenuta, purtroppo.
Dunque il governo ha fatto di queste modifiche della Costituzione un punto centrale del suo programma, tant’è che portano la firma Renzi-Boschi, e malgrado ciò non è riuscito a fare il bis dell’articolo 81. Questo risultato è stato mancato malgrado la composizione del parlamento attuale derivi dal porcellum, cioè sia il risultato di un enorme premio di maggioranza. Premio di maggioranza che in pratica dà lo stesso risultato dell’Italicum, 340 deputati a chi vince. In realtà le modifiche della Costituzione non hanno avuto neppure la maggioranza dei deputati. Infatti, se dai votanti a favore togliamo i deputati che siedono in parlamento grazie al premio di maggioranza – 132 nell’ultima votazione alla Camera – manca perfino la maggioranza normale a favore delle modifiche della Costituzione.
E’ un caso clamoroso di una minoranza che diventa maggioranza grazie ad un abnorme premio di maggioranza e per di più in questo modo mette le mani nella Costituzione. Questo ci parla direttamente dell’Italicum che assomiglia fin troppo al famigerato porcellum, sanzionato dalla Corte costituzionale.
Non si tratta solo di una maggioranza che impone una modifica della Costituzione, che già è un fatto grave, foriero di guai. Basta pensare alla modifica unilaterale del titolo V della Costituzione del 2001 che tanti guai ha portato al centrosinistra. In questo caso si tratta di una minoranza arrogante, che in modo non legittimo, grazie al porcellum, cambia la Costituzione. Una gravissima lesione dell’idea stessa di Costituzione, che dovrebbe essere un contenitore politico-istituzionale nel quale si riconosca la grande maggioranza dei cittadini.
Il governo per arrivare a questo risultato ha messo pesantemente in gioco la sua capacità di pressione, fino ad esercitare un vero e proprio ricatto sul parlamento, minacciato di scioglimento, per fare passare le modifiche costituzionali. Quando Renzi ha cercato di trasformare il referendum in un plebiscito su di lui e sul governo non ha fatto altro che portare avanti la sua linea. Solo di fronte alle critiche del suo stesso schieramento ha parlato di errore, salvo continuare, nella realtà ,come e peggio di prima con un impegno personale diretto nella campagna elettorale che la sta di fatto trasformando in un confronto diretto tra lui e lo schieramento del No.
Il tempo e l’impegno spesi nella campagna elettorale dal presidente del Consiglio stanno dirottando l’attenzione dal merito delle scelte politiche. Tanti interventi sono di fatto rinviati, come le decisioni che riguardano il futuro delle banche in difficoltà. La campagna elettorale del presidente del Consiglio nella sostanza è come prima, peggio di prima, perché tutte le occasioni in Italia e all’estero vengono usate per fare emergere gli appoggi dei poteri forti: economici, finanziari, politici alla modifica costituzionale del governo Renzi. Obama è solo l’ultimo della serie dei sostenitori. Tutto questo serve a costruire un clima di appprensione nell’opinione pubblica, tende ad esercitare una pressione politica e psicologica forte. Una sorta di ricatto sull’opinione pubblica ottenuto prefigurando sfracelli in caso di vittoria del No.
Ci sono almeno due problemi sollevati da questi interventi di poteri forti a gamba tesa a favore delle modifiche della Costituzione. Il primo è di principio e riguarda la sovranità democratica del nostro paese, i cui cittadini hanno diritto di decidere liberamente del loro futuro e delle regole dello Stato. Il secondo riguarda le ragioni che portano poteri finanziari ed economici internazionali ad intervenire direttamente, ad agire sullo stesso piano dei soggetti politici, per chiedere di modificare le Costituzioni uscite dalla seconda guerra mondiale, ritenute troppo partecipative e democratiche.
Queste iniziative trovano purtroppo in Italia un atteggiamento politico subalterno, che spesso fa da coro alle loro pretese. Del resto il mostro istituzionale e giuridico che si vorrebbe costruire con i trattati tipo Ttip è indicativo di ciò che potrebbe accadere. Le multinazionali pretendono di decidere alla pari con le sedi di decisione politica – governi e parlamenti – e di affidare ad arbitri terzi la soluzione dei contenziosi tra multinazionali e stati. Così le sedi istituzionali vengono automaticamente declassate al livello di conglomerati di interessi privati. Deve essere chiaro quali possono essere i possibili oggetti di contenzioso, ad esempio salute, ambiente, diritti di chi lavora, che dovrebbero essere veri e propri vincoli insopprimibili. La modalità individuata per risolvere i contenziosi è la secca riduzione del ruolo delle istituzioni da sedi di decisione in nome dell’interesse generale a rappresentanti di una parte, perché chi decide è il libero mercato e i poteri che in esso si muovono riducendo sempre più i controlli, essenziali per superare le evidenti disparità che si presentano sul mercato stesso e appunto affidando ad arbitrati tra istituzioni politiche e multinazionali la soluzione dei contenziosi, in pratica la rimuncia ad esercitare i poteri democratici. E’ in questo clima politico e culturale che si arriva a chiedere agli stati di esercitare la loro sovranità con modalità sempre più simili ai consigli di amministrazione, agli amministratori delegati. La sovranità e la rappresentanza cambiano così di segno.
Votare ogni 5 anni, secondo questa concezione, può bastare, il maggioritario serve a garantire che una minoranza diventi artificiosamente maggioranza e in questo modo possa imporre le sue scelte, appunto sulla base di un artificio elettorale. Così chi ha la maggioranza può decidere senza il timore di venire bloccato da contropoteri, tanto meno dal parlamento che viene ridotto ad organo di ratifica con buona pace della democrazia fondata sulla divisione dei poteri. Le decisioni debbono essere inappellabili e i cittadini debbono rassegnarsi.
Il tentativo di Renzi di cambiare la Costituzione, malgrado questo parlamento non abbia la legittimità di farlo, rientra in questo quadro di riduzione della democrazia in nome della decisione rapida. In realtà questa rapidità serve a garantire acquiescenza, soggezione. Per di più è ormai chiaro che il governo sta tentando in tutti i modi di rinviare le scelte dolorose che riguardano i conti pubblici nel timore di reazioni sociali e politiche pesanti. Il governo sa che prima o poi delle scelte andranno fatte e in vista di queste si muovono le modifiche della Costituzione e la legge elettorale che ne costituisce il completamento. Se non si ha presente questo non si comprende la gravità delle conseguenze di scelte che mettono il governo al centro dell’assetto istituzionale, ribaltando la Costituzione in vigore che invece è fondata sulla rappresentanza parlamentare. I senatori non più eletti, divisi tra compiti impegnativi che rendono ridicolo parlare di superamento dle bicameralismo paritario e la previsione di una presenza reale ai lavori del senato che renderà impossibile esercitare i compiti previsti, nei tempi previsti e che quindi configura una sorta di Senato-dopolavoro. Renzi ha detto che i senatori saranno a Roma uno o due giorni al mese: che cos’altro potrebbero fare se non assentire preventivamente?
I deputati eletti con un premio di maggioranza, che può arrivare a raddoppiare nel ballottaggio il numero dei deputati rispetto ai voti ottenuti al primo turno, ha il compito di garantire così in partenza al governo il via libera della Camera ai suoi provvedimenti. Ricordiamo che la Camera dei deputati è la sola che dà e toglie la fiducia, ai provvedimenti. E il governo decide perfino l’agenda dei lavori della Camera, non solo con l’uso smodato dei decreti legge come avviene già oggi, ma soprattutto con l’introduzione di un nuovo istituto che prevede che i progetti di legge dichiarati importanti dal governo debbono essere approvati entro 70 giorni.
Il nome del candidato presidente del consiglio sarà sulla scheda elettorale e in particolare in caso di ballottaggio ci sarà uno spareggio tra due nomi che renderà difficile se non impossibile formare un nuovo governo in caso di crisi del governo in carica e quindi ritornerà il ricatto di nuove elezioni ad ogni piè sospinto.
Anche i poteri del presidente della Repubblica si ridurranno di fatto. Il governo riporta al centro, allo stato, i poteri dalle regioni. E gli enti locali vengono ristretti entro rigidi vincoli di bilancio. Solo il governo potrà concedere maggiori poteri alle Regioni e allargare i cordoni della borsa per gli enti locali. Ciliegina sulla torta di questo riaccentramento sono i poteri attribuiti al governo che gli consentono di decidere comunque su materie dichiarate unilateralemnte di interesse nazionale.
In realtà il 4 dicembre non si voterà solo sulle modifiche della Costituzione ma anche sulla legge elettorale. Perchè l’Italicum ha senso solo se passa questa deformazione della Costituzione, altrimenti occorrerà riscrivere una nuova legge elettorale che per di più tenga conto della sentenza della Corte costituzionale, non solo per quanto riguarda premio di maggioranza e ballottaggio ma anche per un meccanismo che prevede in pratica che i due terzi degli eletti saranno nominati dal capo del partito. Ricordiamolo al momento del voto.
La garanzia che l’Italicum verrà accantonato dipende dalla vittoria del No il 4 dicembre. Quindi a ben vedere il voto del 4 dicembre non è solo l’occasione per dire no allo stravolgimento della Costituzione e all’Italicum, ma anche per dare al mondo della scuola la speranza di poter rimettere in discussione la legge voluta dal governo Renzi, imposta con protervia, e che rischia di restare dopo il mancato raggiungimento delle firme per arrivare ai referendum abrogativi.
Così per il lavoro: non c’è dubbio che bocciare le modifiche della Costituzione è il modo migliore per preparare la battaglia di primavera sui referendum promossi dalla Cgil per reintrodurre i diritti di chi lavorai.
Quindi il 4 dicembre è un’occasione per dire No alla manomissione della Costituzione, per affossare l’Italicum, degno erede del porcellum, e riaprire spazi per cambiare su scuola e lavoro. Renzi batte sul tasto del cambiamento, ma cambiare può voler dire – come in questo caso – peggiorare la situazione. Cambiare è anche dare il via libera alla moltiplicazione delle trivellazioni. Non è esattamente la nostra idea di cambiamento. Respingere questi cambiamenti è la via migliore, più semplice per consentire di discutere le novità da introdurre che non sempre, anzi di rado, richiedono modifiche della Costituzione ma più spesso solo scelte politiche. Le modifiche della Costituzione sono spesso l’alibi usato dai governi per giustificare loro errori e debolezze, incapacità di fare delle scelte politiche. Togliamo di mezzo questo alibi facendo vincere il No!
*Alfiero Grandi è segretario dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra
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