di DOMENICO MACERI* – “Tutti sappiamo che nell’elezione presidenziale americana il governo ucraino ha favorito un candidato”…. “una donna, per essere precisi”. Così Vladimir Putin in una conferenza stampa a fianco del leader ungherese Viktor Orban mentre cercava di allontanare le voci sull’interferenza russa nelle elezioni americane che portarono Donald Trump alla Casa Bianca. La donna è, ovviamente, Hillary Clinton, che nella campagna elettorale aveva usato toni poco amichevoli verso il leader russo mentre Trump lo aveva lodato, divenendo il candidato preferito di Putin.
L’interferenza ucraina nelle elezioni americane è una bufala promossa dai servizi di intelligence russi per intorbidire le acque. Va ricordato che il rapporto di Robert Mueller, il procuratore speciale del Russiagate, ha concluso che i russi hanno interferito nell’elezione americana per aiutare Trump. Muller ha anche chiarito che non è stata dimostrata collusione fra la campagna dell’attuale inquilino della Casa Bianca e i russi. Ciononostante, ha sostenuto che i russi sono pronti a farlo di nuovo e che tutti gli americani dovrebbero preoccuparsene.
La dimostrazione a suo avviso più lampante dell’interferenza di Mosca l’ha presentata Mueller stesso incriminando una ventina di funzionari della intelligence russa, la cui estradizione però non sarà mai autorizzata da Putin. Va ricordato anche che Maria Butina, una cittadina russa, è stata arrestata dalla Fbi nell’ambito delle indagini sul Russiagate e condannata a 15 mesi di carcere e poi alla fine rimpatriata. Da non dimenticare Paul Manafort, manager della campagna elettorale di Trump nell’estate del 2016, attualmente in carcere, anche lui coinvolto nelle indagini sul Russiagate.
Il rapporto di Mueller tace completamente sulla presunta interferenza ucraina nell’elezione americana ma i repubblicani hanno creato un polverone attorno alla questione cercando di distrarre dall’inchiesta di impeachment scatenata dalla telefonata del presidente americano al suo omologo ucraino. In questa conversazione Trump gli chiede il favore di aprire un’inchiesta sul suo possibile avversario politico Joe Biden prima di rilasciare gli aiuti militari che il Congresso aveva approvato all’Ucraina. Nella telefonata però Trump chiede anche un’investigazione sull’interferenza ucraina nell’elezione americana del 2016 che i media hanno giustamente messo da parte riconoscendone la carenza di fondamenta.
La macchina retorica di Trump e i suoi alleati repubblicani però la hanno sottolineato nel loro tentativo deliberato di sminuire l’inchiesta sull’impeachment. Il 45esimo presidente non sembra credere ai suoi servizi segreti come ci conferma la sua dichiarazione in occasione del suo incontro con Putin a Helsinki nel 2018. Il presidente americano in quell’occasione si era dichiarato soddisfatto delle parole del leader russo sulla non interferenza nell’elezione americana. Il senatore John Kennedy, repubblicano della Louisiana, in un’intervista alla Msnbc ha dichiarato che non si sa chi ha interferito nelle elezioni del 2016, suggerendo che forse siano stati i russi o gli ucraini. Ha poi continuato asserendo che l’ex presidente ucraino Petro Poroshenko “lavorò attivamente per Hillary Clinton” senza però dare prove. Ma l’intervistatore Chuck Todd gli ha ricordato che 17 gruppi di intelligence americana hanno invece incolpato i russi ma Kennedy ha continuato a tergiversare. Altri due senatori, Chuck Grassley, repubblicano dell’Iowa, e Ron Johnson, repubblicano del Wisconsin, hanno chiesto documenti al National Archives sull’interferenza ucraina nell’elezione del 2016.
Questa narrativa sulla corruzione e la presunta interferenza dell’Ucraina nell’elezione americana fa esattamente il gioco di Putin poiché mette gente un’ombra sull’intelligence americana e sul rapporto di Mueller. La falsità delle tesi filo Trump è stata però denunciata da parecchi diplomatici che hanno testimoniato nelle recentissime audizioni sulle indagini relative all’impeachment alla Commissione Intelligence. In particolar modo Fiona Hill, specialista sulla Russia e già funzionaria al Consiglio di Sicurezza americana, ha indirizzato la sua ira contro i repubblicani nella Commissione Intelligence accusandoli di fare proprio il gioco di Putin mentre continuano a spargere la falsa narrativa dell’influenza ucraina sulle elezioni. La Hill ha anche sostenuto che quando gli americani si dividono e prendono le distanze anche dai loro alleati europei e di altri Paesi consegnano una vittoria a Putin, il cui scopo è proprio quello di seminare la discordia. In sintesi, la Hill ha accusato i repubblicani di agire contro gli interessi del loro Paese per i loro scopi politici.
In effetti, i repubblicani che fanno quadrato attorno a Trump sanno benissimo che la base del loro partito è nelle mani del loro leader e a loro importa poco dell’Ucraina e della Russia. Storicamente i repubblicani erano feroci nemici della Russia, ma adesso la musica è cambiata. Il commentatore conservatore della Fox News Tucker Carlson ha riassunto questo “amore russo” scrivendo sul sito della rete di Rupert Murdoch che «non c’è stata collusione e i russi non hanno interferito sulla nostra democrazia». Carlson è addirittura andato oltre dicendo che se bisogna scegliere fra Russia e Ucraina gli americani dovrebbero “prendere la parte dei russi”. Putin non può fare altro che sorridere. E il suo sorriso continuerà per la continua divisione fra Trump e i democratici, pronti con la Commissione Affari Giudiziari a preparare l’atto di impeachment da sottoporre all’aula.
*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).
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