di FEDERICO ONORATI –Non ci sono stati nella Legislatura passata solo i grandi provvedimenti, come il Jobs Act, La Buona scuola o le riforme della Pubblica Amministrazione e del processo penale. C’è un’altra categoria, quella che passa sotto il nome di “leggine”: piccoli testi, spesso passati direttamente in Commissione, senza andare mai in Aula. Al Senato si chiama sede deliberante, alla Camera sede legislativa: da aprile diventerà, almeno sulla carta, il modus operandi “normale” di palazzo Madama. I disegni di legge non seguiranno il classico iter Commissione-Aula, ma, salvo qualche eccezione (come i decreti legge o le leggi di bilancio o le ratifiche dei trattati internazionali) e salvo richiesta di un tot di senatori o del Governo, saranno approvati direttamente in Commissione. Si tratta di un’inversione della procedura fin qui seguita: finora infatti serviva l’unanimità dei commissari (alla Camera l’80 per cento) più l’ok dell’Esecutivo per far passare un testo alla deliberante e dunque evitare l’esame in Aula. Sono stati in questo modo approvati alcuni provvedimenti che rappresentano un’eccezione rispetto al principio generale secondo cui la legge deve avere un valore generale; ma si è trattato di interventi necessari o perché andavano cancellate precedenti norme di legge, o perché è la stessa Costituzione a riservare alla legge determinate materie.
VECCHI COLLEGI E PMI, LE LEGGINE “NECESSARIE” – Nel primo blocco rientra ad esempio la legge che ha sbloccato la vendita dell’ex collegio Lomellini di Santa Margherita Ligure. L’iniziativa della deputata Pd Mara Carocci (romana ma eletta in Liguria) interveniva su una vecchia legge del 1957 che assegnava la struttura al Comune, che l’aveva poi concessa alla locale Usl. Dopo che quest’ultima, alla fine degli anni ’80, se n’era andata, il vecchio collegio era rimasto inutilizzato ed era finito in stato di abbandono, diventando dunque un peso per le casse comunali. Per venderlo, serviva dunque una legge apposita, approvata a fine Legislatura, che impone tra l’altro al Comune di Santa Margherita di destinare i proventi a investimenti nell’istruzione.
Non è invece arrivata alla conclusione un’iniziativa analoga che riguardava l’Istituto “SS. Trinità e Paradiso” di Vico Equense, promossa dal deputato del Pd Salvatore Piccolo, nato ed eletto nella zona. Si tratta di un conservatorio femminile costituito nel 1677 e attivo fino al 2001, che disponeva di un cospicuo patrimonio immobiliare gestito malissimo nel corso degli anni, di cui oggi restano solo la sede e una chiesa inagibile fin dal terremoto dell’Irpinia del 1980. Per risolvere la situazione serve però una legge che disponga l’estinzione dell’Istituto e ne trasferisca le proprietà al Comune; ci si era provato anche nel 2011, quando un’analoga proposta era stata quasi licenziata dalla Commissione Cultura. Situazione che si è ripetuta anche in questa Legislatura, visto che l’iter, che sembrava ben avviato (in appena tre mesi, a inizio 2014, si era giunti a un sostanziale accordo sulla proposta) si è bloccato per problemi finanziari. La Ragioneria generale dello Stato aveva infatti segnalato che la situazione economica dell’Istituto era più complicata di quanto inizialmente prospettato e che in ogni caso le voci passive nel bilancio superavano quelle attive. Il Comune si sarebbe dovuto dunque sobbarcare nuove spese e l’unica soluzione sarebbe stata quella di tagliare altre voci per rispettare il patto di stabilità interno.
È diventata invece legge in pochissimo tempo (appena otto mesi), la proposta di un’altra deputata dem, Laura Venittelli, che viene incontro alle piccole e medie imprese di Venezia e Chioggia, obbligate a restituire gli sgravi fiscali e contributivi concessi 20 anni fa dallo Stato e dichiarati illegittimi dalla Commissione europea. Soldi che sono stati già riversati nelle casse dello Stato; il problema erano gli interessi, che erano cresciuti a dismisura nel corso degli anni. La normativa consente ora alle imprese di saldare il debito in forma ridotta e compensandolo con eventuali crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione gli interessi.
TORRE DE’ BUSI, SE IL PARLAMENTO RIDISEGNA I CONFINI DELLE PROVINCE – E poi ci sono le leggi che cambiano la Provincia o la Regione di un determinato Comune. A occuparsi di questi spostamenti deve essere il Parlamento, stando a quanto previsto dalla Costituzione, a conclusione di un iter particolarmente complesso che prevede un referendum consultivo delle popolazioni e l’ok dei vari consigli provinciali o regionali interessati. Nell’ultima legislatura sono due le proposte arrivate a dama. La prima riguarda Torre de’ Busi, un paesino di poco più di duemila abitanti che fino alla fine dello scorso anno era in provincia di Lecco. Una legge, promossa dal senatore leghista Paolo Arrigoni ed entrata in vigore negli ultimi giorni del 2017, l’ha rispostato in provincia di Bergamo, dove era fino a 25 anni fa, quando fu appunto istituita la provincia lecchese. Curiosità: Arrigoni è proprio di Lecco e a Lecco è stato consigliere provinciale, ma nella relazione illustrativa del ddl spiega come lo spostamento si giustifica sia con “una continuità rappresentata dalla rete infrastrutturale stradale e dalla molteplicità di servizi in gestione associata con i comuni della provincia di Bergamo” sia con “gli aspetti critici derivanti dall’appartenenza alla provincia di Lecco relativi al trasporto, allo sgombero neve e allo sfalcio dell’erba lungo le strade provinciali”. Almeno altri 15 ddl hanno cercato di raggiungere lo stesso obiettivo: quello che ci è andato più vicino è il testo che riguardava due paesini marchigiani, Montecopiolo e Sassofeltrio, attualmente in provincia di Pesaro e Urbino, che il deputato leghista Gianluca Pini avrebbe voluto spostare in Emilia-Romagna, precisamente in provincia di Rimini. Già che ci si stava, la zona veniva ridisegnata facendo passare il vicino Comune di Sant’Agata Feltria dalla provincia di Rimini a quella di Forlì-Cesena. Presentato a inizio legislatura, dopo un iter durato due anni e mezzo a marzo 2017 approdò nell’Aula della Camera ma in quella sede ci si fermò alla discussione generale per i dubbi del Pd (secondo cui il referendum consultivo da cui nasceva l’iniziativa di Pini si era svolto 10 anni fa e dunque non era determinante per l’approvazione definitiva della legge). Peraltro, proprio quella zona era stata interessata nel 2009 dalla prima e fino al ddl Sappada unica legge sul trasferimento di Comuni da una Regione all’altra. Si trattava di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Talamello e proprio Sant’Agata Feltria.
LA FUGA VERSO L’AUTONOMIA (E I SOLDI) – Chi frequenta le aule parlamentari avrà poi sentito parlare del Comune di Sappada, 1300 anime che parlano quasi tutte tedesco al confine tra Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Austria e che dieci anni fa avevano chiesto praticamente all’unanimità (i sì erano stati il 95 per cento) il passaggio dal Veneto al Friuli, Regione a statuto speciale e dunque dotata di maggiore autonomia, ma soprattutto di una serie di agevolazioni economiche: dalla benzina a 20 centesimi in meno, al bollo per l’auto meno costoso, ai contributi della Regione friulana per il turismo e la ristrutturazione degli alberghi, fino all’aumento di stipendio per i dipendenti comunali e agli aiuti per la prima casa. E infatti molti altri paesini veneti (si parla di una trentina) sarebbero tentati dal seguire l’esempio dei loro vecchi corregionali, a cominciare da Cortina d’Ampezzo, finora tenuta a bada dai fondi per l’organizzazione dei Mondiali di sci del 2021. Tanto che all’indomani dell’approvazione della legge, il governatore del Veneto Zaia ha rivendicato le ragioni del referendum autonomista di ottobre, arrivando all’iperbole: “di questo passo – ha scherzato ma non troppo – daremo al Trentino uno sbocco al mare”. Nell’ultima Legislatura ci si è già provato con i Comuni bellunesi di Lamon e Sovramonte e quello vicentino di Pedemonte, che Lega, Svp e Pd avrebbero voluto trasferire dal Veneto al Trentino e con Cinto Caomaggiore che i dem Pegorer e Zanin chiedevano di aggregare al Friuli. E cambiando fronte alpino, ce n’è anche una che prevedeva il passaggio di Carema dal Piemonte alla Valle d’Aosta. Ma il ddl su Sappada ha avuto anche un’altra funzione: è stato infatti usato da alcuni gruppi parlamentari come cuscinetto, negli ultimi mesi della Legislatura, per ritardare il più possibile al Senato l’esame dello ius soli. Già a luglio, infatti, si decise proprio in Aula, in mezzo alle polemiche, di invertire l’ordine del giorno deciso dalla Conferenza dei capigruppo: subito dopo il Codice antimafia, si sarebbe affrontato il ddl su Sappada, originariamente previsto dopo la legge sulla cittadinanza. Tant’è vero che l’iter della proposta è durato ben tre anni e mezzo al Senato: la Commissione Affari costituzionali lo ha trasmesso all’Aula a febbraio 2016, ma si è cominciato a discuterlo solo a maggio 2017, per inviarlo alla Camera dopo l’estate. Camera che infatti lo ha esaminato a tempo di record, appena due mesi, facendolo entrare in vigore prima dello scioglimento del Parlamento!
Commenta per primo