Per Giorgia Meloni gli esami non finiscono mai (ma non dipende dall’accanimento dei suoi oppositori)

di SERGIO SIMEONE – “Gli esami non finiscono mai”. Questo titolo di una famosa commedia di Eduardo De Filippo rappresenta molto bene la condizione attuale di Giorgia Meloni, a cui si chiede continuamente conto della sincerità dei suoi cambiamenti politici nel passaggio dalla opposizione al governo. Questa condizione però  nasce non tanto dal particolare accanimento dei suoi avversari politici, quanto dalla vaghezza ed ambiguità delle posizioni che enuncia, che la fanno apparire come una equilibrista che ha continuamente paura di cadere.

Questa vaghezza e questa ambiguità dipendono a loro volta dal fatto che non si può pensare di poter cancellare il proprio passato politico ed abbracciare una nuova linea con  semplici generiche dichiarazioni, perché il proprio passato politico si è sostanziato di prese di posizione molto nette, a volte enunciate con toni anche aspri, di voti espressi nei parlamenti italiano ed europeo e si sono costruite alleanze nazionali e internazionali  inequivocabili.

E’ naturale, pertanto, che ogni volta che la nuova linea politica viene messa alla prova dei fatti, dei comportamenti da assumere, i critici della leader di FdI si fanno attenti e vogliono vedere  se è coerente con la nuova linea o è ancora condizionata dal suo recente passato e dai suoi alleati nazionali ed internazionali.

E’ il caso, ad esempio, della recente scoperta dell’europeismo. Tutti sappiamo che questa conversione avviene dopo che per anni Giorgia Meloni ha professato apertamente il suo euroscetticismo, ha sostenuto la conflittualità tra interessi nazionali ed interessi europei, si è alleata a livello nazionale  con il sovranista Salvini e a livello internazionale ha espresso in più occasioni la sua ammirazione per Putin ed Orban ed è diventata addirittura presidente dei Conservatori europei, formazione politica che annovera tra i sui componenti il PIS del polacco Kaczynski.

Alla luce di questi precedenti è naturale che ogni atto della Meloni venga vagliato con attenzione per valutare se il suo europeismo è sincero o no. Già nei prossimi giorni una serie di temi costituiranno dei test di estremo interesse:

Immigrati. E’ durata poco la esultanza di molti (compreso il sottoscritto) per la “apertura” a due navi delle Ong dei porti di Salerno e di Bari. Il ministro Piantedosi si è affrettato a precisare che la decisione è stata presa solo perché il tempo era proibitivo e che la linea del governo non cambia. Continuerà dunque la conflittualità con i più importanti Paesi dell’UE, cosa che indebolirà la pur giusta  richiesta dell’Italia di un maggiore coinvolgimento dell’Europa nella politica sull’immigrazione?

Manovra economica. Non sono certo in linea  con la richiesta europea di una più incisiva lotta all’evasione fiscale  e di una maggiore equità fiscale le misure sul contante, i POS , i condoni fiscali e l’aumento della soglia per applicare la flat tax ai lavoratori autonomi. Riuscirà poi la Meloni a contenere il tentativo dei suoi alleati ad allargare il deficit con le loro richieste populiste?

PNRR e Mezzogiorno. Sappiamo che l’Italia è la maggiore beneficiaria dei fondi messi a disposizione dall’Europa quando a capo del nostro governo c’era Giuseppe Conte per una ragione ben precisa: permetterle di superare lo storico divario tra nord e sud del Paese. Il progetto di autonomia differenziata preparato da Calderoli e caldeggiato soprattutto da Zaia e Fontana (sembra che Bonaccini invece si sia ultimamente dissociato), indebolendo il Mezzogiorno, va in direzione completamente opposta. Quale posizione assumerà la Meloni?

– Riforma del MES. Il consenso dell’ Italia è determinante per la sua approvazione. Un diniego sarebbe particolarmente irritante, perché la sua approvazione non obbligherebbe nessuno a farvi ricorso (tanto meno l’Italia), ma permetterebbe, a quei Paesi che vogliono usufruirne, di farlo in maniera molto meno onerosa rispetto al passato. Quale decisione prenderà il governo di centrodestra?

Ripristino dello Stato di diritto in Ungheria e Polonia. Si tratta probabilmente della questione maggiormente dirimente tra europeismo a parole ed europeismo di sostanza. La commissione europea ha annunciato che intende sospendere la erogazione dei fondi europei ai due Stati se non ripristineranno lo stato di diritto abrogando quelle leggi che subordinano la magistratura al potere esecutivo e limitano la libertà di stampa. La decisione della commissione , per divenire operativa, deve essere approvata dal consiglio europeo. In quella sede è necessaria una maggioranza qualificata ed il voto dell’Italia è determinante. Come si schiererà l’Italia? Aiuterà la commissione a difendere lo stato di diritto in tutta l’Europa o si schiererà con le due democrazie illiberali come hanno già fatto nell’europarlamento i gruppi di Lega e Fratelli d’Italia?

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil 

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