di NUCCIO FAVA – La gioia dell’amore è l’ultimo annuncio di un Papa straordinario che in modo efficace comunica a tutti – dentro e fuori la Chiesa – con un messaggio di fiducia e di speranza. Di incontro necessario fra culture e religioni, con una sollecitazione esigente affinché nessuno si senta escluso dalla possibilità di riscatto e di liberazione. A condizione di non starsene alla finestra ma di prendere parte attiva alla costruzione di una società migliore, più giusta e accogliente.
L’esortazione sinodale del Papa è ricca di tanti aspetti. Vale soprattutto la forte sottolineatura del metodo di governo della Chiesa: un metodo collegiale, che coinvolga tutto il complesso e articolato mondo ecclesiale le differenti sensibilità e culture, il contributo d’intellettuali e così detti esperti.
La sintesi di questo lungo e vivace percorso spetta poi al Papa, che sa rivolgersi a tutti gli uomini con il suo eccezionale carisma, chiedendo comprensione, prudenza e pazienza. L’inculturazione, o meglio il cammino nella storia, il rapporto travagliato con le tante istanze e contraddizioni del mondo contemporaneo, resta compito impegnativo e difficile anche per la Chiesa. Non può però essere eluso quasi non bastasse da sola la sua lunga tradizione attraverso i secoli che va profondamente rinnovata per diventare – nella fedeltà al Vangelo – parola incarnata e liberatrice dai falsi idoli per gli uomini del nostro tempo, per le loro domande di senso e di futuro.
Dentro questo disegno del rapporto Chiesa-Mondo che è poi la grande questione posta dal Concilio Vaticano II di oltre cinquant’anni fa, papa Francesco ha anche affrontato gli argomenti più delicati relativi alla comunione ai divorziati, ai risposati e alla famiglie attraversate da difficoltà e rotture, sfuggendo alla rigida dicotomia dei conservatori più intransigenti e degli innovatori più spericolati.
Il criterio che deve valere è quello del discernimento e dell’accoglienza, da esaminare e approfondire caso per caso, con il coinvolgimento delle Chiese locali e del vescovo diocesano. È necessario che la ricchezza e duttilità dello spirito non siano mai soffocate da una lettura rigida della norma e invece sempre nel rispetto e valorizzazione dei percorsi della coscienza: una grande apertura nella vita della Chiesa e della società, una riaffermazione di quel metodo della libertà della persuasione e del coinvolgimento collegiale dei vescovi così caro a papa Francesco.
Una indicazione che potrebbe laicamente servire anche a una nuova partenza della politica, fattasi autoreferenziale, attraversata da tentazioni liederistiche, affarismi e corruzione.
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