di GIOVANNI PEREZ -. Sono trascorsi 10 giorni dalla vigilia di Ferragosto, giorno in cui il ministro Alfano aveva comunicato a quei miscredenti degli italiani che il suo governo aveva deciso di inviare nuovamente un ambasciatore al Cairo “perchè la magistratura egiziana aveva inviato a quella italiana numerosi documenti sul caso del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni”, sequestrato, torturato e ucciso al Cairo. Alfano aveva anche precisato che i documenti erano scritti in lingua araba e quindi “era necessario qualche giorno per la loro traduzione”. “Qualche giorno” in effetti è trascorso, ma, come avevamo sin troppo facilmente previsto, delle sbandierate traduzioni contenenti “rivelazioni decisive” sul caso Regeni non se ne è vista nemmeno una. O quei fantomatici documenti sono scritti in un egiziano arcaico del tempo dei faraoni e quindi quasi ignoto alla Farnesina o si tratta della solita bufala all’italiana.
In compenso la stampa egiziana nei giorni scorsi ha cantato vittoria glorificando il governo di El-Sisi per aver resistito alle pressioni italiane e nello stesso tempo denigrando quello italiano per la sua arrendevolezza, ovviamente guardandosi bene dallo spiegare quale era il motivo del contendere.
In conclusione per quanto riguardava le indagini sulla tragica fine del povero Regeni, nessun passo avanti è stato fatto né prevedibilmente sarà fatto. Da qui una ulteriore conferma che gli autori del suo omicidio sono stati gli uomini dei servizi segreti egiziani, coperti dal silenzio di El Sisi sulla cui coscienza grava anche il peso della uccisione di centinaia di giovani oppositori egiziani.
Morale della favola: l’Eni può continuare tranquillamente a fare i suoi affari all’ombra dell’ala protettrice di un governo di pseudo sinistra. Di Regeni, prima o poi, gli italiani si dimenticheranno. O no?
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