di NUCCIO FAVA – Nel preoccupante deserto politico e ideale del momento l’occasione per una riflessione di fondo potrebbe essere suggerita dalla ricorrenza dei 40 anni della morte di Paolo VI. Un gigante nella vita della chiesa e della società, che ha posto con grande energia il tema cruciale del confronto con la modernità , il rapporto della Chiesa con tutte le nuove sfide a livello planetario in ogni campo. Ereditò Paolo VI un Concilio non ancora concluso, ”rissoso” e a forte rischio di smarrimento non solo per i credenti. Riuscì il nuovo Papa con sapienza, equilibrio, pazienza e straordinaria capacità di mediazione a ravvicinare posizioni lontane ritenute inconciliabili ricondotte a convergenze e sostanziale unità.
Un grande Papa e un grande italiano, per l’incidenza cauta e diretta che ebbe su grandi scelte politiche, compreso l’avvio del centrosinistra promosso da Moro e Fanfani, ma visto con esplicita riprovazione da cardinali influenti come Ottaviani e Siri. Fu l’ultimo Papa italiano seguito da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Tra le tante novità promosse da papa Montini, il documento conciliate Gaudium et Spes, la Populorum progressio , l’accorato appello alle Nazioni Unite per la pace dell’intera umanità e “lo sviluppo e il nuovo nome della pace”. Come ignorare inoltre la riforma liturgica, l’introduzione del “volgare” nelle celebrazioni non più in latino, con l’accostamento sistematico e diretto alle Scritture e alla proclamazione dei Salmi.
L’ultimo indimenticabile servizio reso all’Italia fu la lettera agli “uomini delle BR” e l’omelia-lamento in San Giovanni: “ma Tu non hai ascoltato la nostra supplica”. A ottobre sarà proclamato santo in piazza San Pietro insieme a monsignor Romero.
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