di ENNIO SIMEONE – Il Quirinale comunica: “Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge elettorale approvata dal Parlamento. La legge contiene modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e la delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”.
Sarà rimasto deluso chi si aspettava che Sergio Mattarella rendesse onore al suo cognome bastonando la legge elettorale “Rosatellum”, non solo per i contenuti, ma almeno, e soprattutto, per il modo in cui stata fatta approvare in entrambi i rami del Parlamento. In realtà aveva anticipato il suo comportamento pochi giorni fa in un incontro con gli allievi di una scuola. Alla domanda di uno studente – che gli aveva chiesto se il Presidente è un semplice promulgatore delle leggi che gli arrivano dal Parlamento o ha il potere di bloccarle, restituendole, con le debite obiezioni, alle due Camere perché provvedano a correggerle – aveva risposto che il capo dello Stato deve promulgare le leggi approvate dal Parlamento anche se non ne condivide il contenuto, a meno che non ravvisi evidenti elementi di incostituzionalità.
Noi non sappiamo se abbiano ragione o meno coloro che sostengono che il “Rosatellum” è in contrasto con la Costituzione. Sappiamo però che: a) il parlamento che lo ha approvato è stato eletto con una legge elettorale, definita non a caso dal suo stesso estensore “una porcata” (di qui la definizione di “Porcellum”), dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale; ma, poiché la sentenza è arrivata due anni dopo le elezioni, è rimasto egualmente in carica ; b) questo stesso parlamento aveva poi approvato una nuova legge elettorale nota come “Italicum”, dichiarata anch’essa incostituzionale dalla Consulta e comunque cancellata di fatto dal referendum del 4 dicembre insieme con la riforma costituzionale; c) sempre questo stesso parlamento ha ora approvato il “Rosatellum”, scritto dagli stessi personaggi che avevano scritto l’Italicum, cioè gli scrivani di Matteo Renzi, e approvato da deputati e senatori sotto il vincolo del voto di fiducia al governo. Il che significa che se questa legge fosse stata bocciata, il governo avrebbe dovuto dimettersi (con scioglimento anticipato delle Camere e conseguente paralisi legislativa) per la mancata approvazione di una legge che non aveva scritto né aveva contribuito a scrivere, sia perché non spetta al governo formulare le leggi elettorali, sia perché il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, al suo insediamento aveva detto che non si sarebbe occupato di leggi elettorali poiché questo è compito che “spetta esclusivamente al parlamento”. Il che è vero, tant’è che il presidente del Senato, Pietro Grasso (come lo stesso ex presidente della Repubblica e senatore a vita Giorgio Napolitano) ha bollato tale procedura definendola “una violenza istituzionale”, alla quale ha reagito abbandonando per protesta il gruppo del Pd di cui faceva parte.
Ma allora di chi ci si può più fidare in questo paese? Rimane la Corte costituzionale. Che però si pronuncia, come è già accaduto finora, quando la frittata è fatta. E poi dicono che bisogna arginare il “populismo”…
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