di SERGIO SIMEONE – Chi pensa che le parole pronunciate da Salvini dopo aver appreso di essere stato incriminato per il caso “Diciotti” siano espressione di una ira che non fa misurare le parole (“io sono stato eletto, i giudici non li ha eletti nessuno”) è completamente fuori strada. Mai Salvini è stato così lucido. Lui non ha improvvisato. Ha previsto questa mossa dei magistrati e si è accuratamente preparato per sfruttarla a vantaggio del suo progetto politico. Non è un caso, infatti, che queste parole siano state pronunciate dopo l’incontro con il leader ungherese Orban e prima dell’incontro con l’ultra conservatore americano Steve Bannon e Mischoel Mondrikamen (presidente del partito popolare belga), entrambi fondatori del the movement creato per costruire una internazionale sovranista che metta in crisi l’Europa . Al termine dell’incontro quest’ultimo ha trionfalmente annunciato: Salvini è dei nostri.
Matteo Salvini, è ormai chiaro , vuole inserire l’Italia in una un’alleanza di stati e partiti che metta in crisi l’Europa, come vogliono sia Trump che Putin. E per raggiungere questo risultato deve trasformare lo Stato italiano in una democratura. Il primo passo in questa direzione è il superamento della divisione dei poteri: Chi vince le elezioni deve assumere il controllo della magistratura e dei mezzi di comunicazione. E’ quello che hanno fatto Putin in Russia, Erdogan in Turchia, Orban in Ungheria. E’ quello che sta cercando di fare Trump negli Stati Uniti con maggiore difficoltà, per fortuna, rispetto agli altri a causa del forte radicamento dei contropoteri .
E’ vero che Salvini a Cernobbio ha fatto un passo indietro. Ma non bisogna farsi illusioni. Lui ha semplicemente capito che il “cambiamento “ che ha in mente ( tanto per usare un termine di moda) non si ottiene con una battaglia campale, ma con una guerra di trincea, fatta di assalti e ritirate tattiche per preparare nuove avanzate. Ma l’obiettivo finale è chiarissimo e si svolgono alla luce del sole le manovre per costruire il fronte sovranista in vista di un appuntamento di importanza decisiva, le elezioni europee di maggio 2019.
E gli altri, quelli del fronte europeista, come si muovono? Molto male. Il Partito Popolare Europeo non solo tollera Orban al proprio interno, ma sta pensando di candidare Weber alla presidenza dell’Unione Europea, non per le sue preclare doti poltiche ma solo perché ritenuto capace di fare da “ponte” con i sovranisti. Si sta, cioè, preparando a gestire la sconfitta. I socialisti, a loro volta, brillano per la mancanza di comunicazione tra loro: da partiti che puntano alla nascita di uno stato federale europeo ci si aspetterebbe che diano alle loro formazioni una struttura federale a livello europeo. Ed invece non solo il tema non è nell’agenda di questi partiti, ma i loro leader nemmeno si incontrano per tentare di elaborare e presentare agli elettori un comune progetto di riforma dell’Unione europea.
I cinquestelle infine continuano a navigare, come al solito, nell’ambiguità. Sono usciti solo recentemente da una posizione euro scettica, ma i suoi parlamentari europei continuano a fare parte del gruppo di Farage.
Insomma, paradossalmente, mentre i sovranisti , che in teoria dovrebbero avere grandi difficoltà ad allearsi tra di loro (“prima gli italiani”, “prima gli ungheresi” o “prima i polacchi”?) stanno costruendo un fronte compatto, tutti gli altri, che pure si vantano di essere animati da sentimenti di solidarietà, stanno andando alla battaglia europea in ordine sparso e con le idee confuse. Anche Macron, che si era proposto come il catalizzatore del fronte europeista, è in grandi difficoltà. Chi ci salverà dal disastro annunciato?
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