di SERGIO SIMEONE – Ursula von der Leyen, ha tentato, con il suo discorso programmatico pronunciato prima del voto del Parlamento europeo, di recuperare il sostegno di tutto lo schieramento europeista e di prendere le distanze da quei partiti sovranisti verso i quali in precedenza aveva fatto pervenire richieste di appoggio alla sua candidatura. Ma il tentativo non è riuscito. Per cui, paradossalmente, dopo aver pronunciato una appassionata difesa della liberaldemocrazia, dopo aver annunciato il suo impegno per una rivoluzione ecologica e per la questione sociale , ed aver dichiarato che l’Ue deve farsi carico della salvezza dei migranti in mare, non ha avuto i voti dei verdi e di buona parte dei socialdemocratici ed è stata eletta con i voti determinanti dei deputati di Orban e di Kascinsky, oltre che del piccolo drappello dei 5 stelle.
La domanda che naturalmente ci si pone a questo punto è su come gestirà il suo mandato la Presidente eletta: sarà coerente con il discorso programmatico o si lascerà condizionare dai Paesi di Visegrad, soprattutto sulle questioni dirimenti? Facciamo qualche esempio concreto: farà procedere in avanti il processo verso un sistema federale, che ridimensioni i poteri dei singoli stati in una serie di materie o manterrà in piedi il sistema degli accordi tra stati che permette, anche ad un singolo Stato, di esercitare il diritto di veto? E sui migranti, si andrà verso il superamento dell’ accordo di Dublino ed il conseguente coinvolgimento cogente di tutti gli Stati o si continuerà a scaricare il problema su Italia, Grecia e Spagna?
Ovviamente molto dipende non solo dalla Presidente, ma anche dai partiti cosiddetti europeisti. Si è parlato tanto, prima delle elezioni, di creare un fronte europeista contro l’avanzata dei sovranisti, ma, trascorse le elezioni, questo fronte si è frantumato, con contrapposizioni non solo tra partiti, ma anche all’interno di ogni singolo partito. Il primato spetta, come da consolidata tradizione, alla formazione dei socialisti e democratici, ma franchi tiratori non sono mancati nemmeno negli altri raggruppamenti, compreso il PPE. Riusciranno finalmente questi partiti a trovare un’intesa per sottrarre veramente e non con vacui proclami la von der Leyen al condizionamento del gruppo di Visegrad?
Ma, per fortuna, se Atene piange, Sparta non ride. Non ride soprattutto Matteo Salvini: dopo il successo elettorale aveva annunciato che avrebbe capeggiato una terribile falange sovranista di circa 150 deputati, che avrebbe cambiato radicalmente la politica europea. Ma, per dirla con il Gassman dei “Soliti ignoti”, Orban e Kascinsky “lo hanno rimasto solo”. La sua ambizione di ottenere un rappresentante leghista di peso nella commissione appare ora in salita. Non bisogna dimenticare, infatti, che al candidato commissario non basta avere la designazione del proprio governo e nemmeno l’eventuale parere favorevole della Presidente, ma deve superare il severo esame della commissione parlamentare competente. Ricordiamo che Rocco Buttiglione, a suo tempo, non riuscì a superare l’esame della commissione giustizia per sospetta omofobia. Come potrà riuscirvi l’esponente di un partito che in questi giorni molti sospettano essere una “quinta colonna” di Putin per sabotare l’ Unione Europea
Commenta per primo