Il consenso alla visita ginecologica non può mai essere dato per “implicito” dal medico che deve visitare una paziente, nemmeno se le “manovre” eseguite sono clinicamente corrette. Lo sottolinea la Cassazione che ha annullato l’assoluzione, in appello, di un ginecologo che aveva visitato in modo invasivo tre giovani donne senza chiedere il loro permesso, e ignorando le proteste. In primo grado il camice bianco era stato condannato a 6 anni per violenza sessuale. Per gli ermellini “serve sempre il consenso esplicito e informato”.
Con questa decisione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del Procuratore generale della Corte di Appello di Torino contro il proscioglimento di Carlo G., medico ospedaliero a Novara, denunciato da tre giovani donne che, senza alcun bisogno nè alcuna spiegazione, erano state sessualmente “stimolate” dal camice bianco che ha sostenuto di voler verificare la loro reazione al ‘piacere’ e di aver svolto il ‘controllo’ in “modalità corretta”.
In primo grado, era stato condannato per il suo comportamento “a sorpresa” e “morboso”. Prosciolto poi in appello perchè “le attività compiute” pur avendo “superato i limiti delle prestazioni richieste” – nessuna paziente voleva una consulenza sessuale – erano “comunque obiettivamente consentite”. Per la Cassazione, ogni volta che il ginecologo visita, deve chiedere il consenso “prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale”. Si tratta di un “obbligo giuridico”, ignorarlo è un reato penale, e nulla importa se il medico afferma di non aver “provato piacere”. (Ansa)
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