di ENNIO SIMEONE – Quei due hanno davvero stancato. Ci riferiamo ai cosiddetti vicepremier: un titolo che nella Costituzione italiana non esiste, non esistendo nemmeno quello di premier, che viene usato, anzi abusato, per pure esigenze grafiche dai giornali. Ci riferiamo alle quotidiane schermaglie a mezzo stampa e a mezzo video tra il capo della Lega, Matteo Salvini, e il capo dei Cinquestelle, Luigi Di Maio: schermaglie fatte di frecciate più o meno velenose, ma di livello sempre più basso, che poi si concludono con pause, ormai sempre più corte, contrassegnate dal richiamo al famoso «contratto di governo», stipulato un anno fa per ovviare alla micidiale frantumazione degli schieramenti parlamentari dovuta alla geniale legge elettorale ideata e imposta al parlamento dal mai abbastanza vituperato governo capeggiato da Matteo Renzi. Il quale, dopo l’umiliante sconfitta subita nelle urne, annunciò la «vendetta» (contro l’elettorato che lo aveva punito) manifestando la speranza di poter assistere compiaciuto alle liti tra i due futuri contraenti del contratto di governo sgranocchiando pop corn, come allo stadio o a un concerto in piazza.
Furono essi stessi, Salvini e Di Maio, ad avvertire correttamente che – essendo le due forze politiche ben distanti per storia, per cultura, per ideologia, per programmi – il patto di necessità che avevano sottoscritto non poteva essere e non sarebbe mai diventato una alleanza politica, ma sarebbe stato un accordo per realizzare nell’arco della legislatura solo quei punti programmatici che le vedeva convergenti. Operazione difficilissima, ma meritevole di essere tentata e perseguita, essendo anche l’unica alternativa ad un inutile ritorno immediato alle urne, specialmente dopo che il Pd (sempre genialmente influenzato dal perdente di successo Matteo Renzi) aveva chiuso la porta a un tentativo di Di Maio di riavviare quel dialogo che quattro anni prima gli esponenti del M5s avevano rifiutato all’allora segretario dem Pierluigi Bersani.
La maggioranza degli italiani, stando alla unanimità dei sondaggi, ha accolto con favore il loro tentativo, sopportando con benevolenza diversità e contrasti, e ha continuato per un anno intero a confermare questo sentimento. Ma poi è arrivata la scadenza delle elezioni europee, nelle quali le diversità politiche e ideologiche tra M5s e Lega sono inevitabilmente riemerse, ma soprattutto sono state cavalcate da entrambe le parti per affermare la propria egemonia, con un crescente inasprimento dei contrasti a mano a mano che i sondaggi segnalavano una crescita di popolarità della propaganda spregiudicata di Salvini (soprattutto sul tema della immigrazione) su quella, più legata all’opera di governo, privilegiata dai Cinquestelle. E all’esito delle elezioni europee si è aggiunto l’esito delle elezioni amministrative in alcune regioni e in molti comuni, dove la Lega di Salvini si avvaleva della alleanza con Forza Italia e Fratelli d’Italia e del persistere del crollo del Pd, aggiudicandosi conquiste di seggi, di presidenze e di sindaci, mentre il M5s manteneva inalterata la sua linea di corsa solitaria, inevitabilmente perdendo posizioni rispetto alle politiche.
Di qui l’acuirsi dei contrasti e dello scontro, culminato mercoledì nella elezione della presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula von der Leyen, per la quale è stato determinante il voto favorevole dei 14 deputati europei pentastellati. I quali hanno deciso la loro scelta dopo aver ascoltato i discorso della candidata al ruolo di n. 1 dell’UE (ed anche, si suppone, l’indicazione del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che su scala internazionale si è ritagliato un ruolo incisivo, grazie anche al prestigio che in questo anno ha conquistato, ad onta dell’azione di discredito che gli avversari politici e la stampa italiana quotidianamente compiono contro i lui). Quel voto potrà servire anche ad avere un commissario europeo italiano, che dovrebbe essere di nomina leghista. Ma la Lega, che ha deciso all’ultimo momento di votare contro von der Leyen, ora accusa i Cinquestelle di essersi allineati (udite!)… a Berlusconi (di cui Salvini è alleato)!
La contraddittorietà di questi contorcimenti di Salvini sfugge alla grande massa degli italiani, che vengono bombardati quotidianamente dai verbosi ma abili selfie del «vicepremier» e ministro dell’Interno, ritrasmessi a getto continuo dalle varie reti televisive, a cui si abbeverano milioni di telespettatori-elettori. A Di Maio restano solo alcun frammenti di frasi carpite dai microfoni protesi di poveri cronisti costretti a tampinarlo nelle strade di Roma durante i trasferimenti a piedi da un ministero all’altro. Ma nella memoria della gente rimane traccia soltanto di una sgradevole contrapposizione tra due alleati-non-alleati che si insultano e poi promettono di voler governare insieme per altri 4 anni.
Di tanto in tanto riesce a far capolino sui teleschermi anche Matteo Renzi, che fa avanti-e-indietro su un palco divorando un «gelato» (come si chiama in gergo il microfono portatile), dopo aver esaurito i pop-corn.
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