Quando l’argomento scotta il politico furbetto sceglie la via di fuga: “Non è una priorità”

di SERGIO SIMEONE* – E’ il nuovo mantra della politica italiana. Quando un partito o un suo esponente vuole contrastare una proposta politica, ma non vuole farlo in maniera palese perché lui stesso sa che commette una indecenza e se ne vergogna, fa una cosa molto furba : non dice di essere contrario, ma che il problema deve essere accantonato perché non è una priorità.

Prendete il caso del Ddl Zan. Quasi ogni giorno le cronache dei giornali riportano casi di
aggressioni a persone che hanno la sola colpa di essere omosessuali o trans, precedute
frequentemente da violente campagne di insulti via social. Come si fa a non convenire che ci vuole
una legge per sanzionare adeguatamente questi comportamenti incivili? Ma per la Lega, Forza Italia
e Fratelli d’Italia bisogna rinviare perché il Parlamento ha ben altro di cui occuparsi e questa legge
non è una priorità.
Anche se poi quegli stessi partiti, una volta costretti ad accettare che si avvii
l’iter del Ddl Zan, dimenticano la loro fretta e prima tengono bloccata la commissione Giustizia per
settimane e settimane per ascoltare centinaia di audizioni del tutto inutili e poi tentano di allungare
la discussione della legge in aula presentando migliaia di emendamenti.
Prendete poi il caso dello ius soli. Un milione circa di ragazzi che parlano italiano, frequentano
scuole italiane, vivono in Italia da quando sono nati o vi sono arrivati in tenera età, non possono
esercitare alcuni diritti perché non hanno la cittadinanza italiana. Si tratta con tutta evidenza di una
grave ingiustizia.  Come si fa ad essere contrari ad un provvedimento legislativo che corregga questa
stortura?
Nessun problema per la destra che non si vergogna di assumere ad ogni pie’ sospinto
atteggiamenti razzisti. Ma i Cinquestelle, che figura ci fanno a dire di no? Ed ecco allora che la
senatrice Taverna trova subito la formula giusta: lo ius soli non è una priorità.
E veniamo infine al caso Durigon. Il sottosegretario all’economia, non chiacchierando con qualche
amico al bar ma parlando in piazza a Latina da un palco ed avendo al suo fianco il segretario
nazionale del suo partito, Matteo Salvini, dice che il parco della città intitolato ai due eroi della lotta
alla mafia Falcone e Borsellino si deve di nuovo chiamare parco Arnaldo Mussolini. Appare subito
chiaro a chi è solo dotato di buon senso che un sottosegretario, che all’atto dell’insediamento ha
giurato sulla Costituzione, di cui sono parte integrante le disposizioni transitorie nelle quali viene
messo al bando il fascismo, non può rimanere nel governo dopo aver fatto questa dichiarazione.
Anche Matteo Salvini, lo sa e perciò, lui di solito così verboso, si chiude in un imbarazzato
silenzio. Ma quando, l’altro giorno, il leader leghista va a colloquio con Draghi e i giornalisti
pensano di costringerlo a dichiarare la sua posizione chiedendogli se con il primo ministro si è
parlato anche del caso Durigon, lui, manco a dirlo, risponde imperturbabile che no, non se ne è
parlato, perché la questione… non è una priorità.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil

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