QUEL “CAMPO LARGO” CHE SI CHIAMAVA SINISTRA E CHE ANDREBBE DIFESO ANCHE SE COPERTO DI MACERIE

di STEFANO CLERICIC’era una volta un campo largo…Molto più largo di quel che si pensasse. Si chiamava Sinistra. Era una verde prateria, su cui – a volte anche a costo della vita – avevano gettato i semi della libertà, della giustizia, della fratellanza e dell’eguaglianza, fior di galantuomini e padri della patria, ai quali nei decenni abbiamo eretto monumenti ma ne abbiamo via via dimenticato gli insegnamenti e la rettitudine civica e morale.

Anche dopo la caduta del Muro di Berlino, la Sinistra, per come s’erano comportati i suoi massimi rappresentanti (Berlinguer su tutti), s’era conservata, pur tra errori e lacerazioni, come un fertile terreno su cui poter coltivare ancora i valori sanciti dalla nostra Costituzione, repubblicana e antifascista.

Ma a un certo punto, arrivò Matteo Renzi, l’Attila fiorentino, il quale – emulo del leggendario capo degli Unni – con le sue sciagurate politiche (Jobs Act in primis e referendum poi) fece terra bruciata, sradicando di colpo da quel campo sei milioni di rigogliose piante (tanti furono gli elettori persi durante il suo “regno”), rendendolo così solo un arido deserto.

Su quel terreno (ma non solo su quello) s’abbattè poi il tornado Cinque Stelle. Un vento tanto violento quanto imprevisto nella sua potenza, che portava però con sé di tutto: i semi del grano e quelli della zizzania, profumati boccioli di rosa e pericolose piante carnivore.

Oggi che il tornado sembra passato, gongolano i vicini, i proprietari del campo accanto, che già si vedono padroni di tutte le terre. Ebbene, non  sappiamo se riusciranno nel loro intento: quello che sappiamo è che quanti ancora si sentono di sinistra hanno il dovere di difendere quel campo, anche se ora coperto di macerie. Di ripulirlo, dissodarlo e proteggere quei semi di libertà, giustizia, fratellanza ed eguaglianza gettati a suo tempo dai padri fondatori della nostra Repubblica. E per farlo c’è bisogno di tutte le braccia disponibili, senza rancori, personalismi, assurdi veti incrociati che fanno solo il gioco della destra più becera.

Su quel campo, sul suo campo, la sinistra deve provare a ripiantare almeno quei sei milioni di piante inopinatamente sradicate. E magari aggiungerne molte di più. E a chi dice che bisogna smetterla di rispolverare la solita solfa del fascismo e dell’antifascismo, farei riascoltare a intervalli regolari il delirante comizio di Giorgia Meloni (futuro nostro presidente del Consiglio in caso di vittoria della destra) poco tempo fa in Andalusia alla riunione di Vox, partito di estrema destra spagnola, o il recentissimo discorso di Orban, leader ungherese, amico, alleato e punto di riferimento della Meloni, sulla salvaguardia della razza. Come diceva Pertini, il fascismo non è un’opinione, è un reato.

Commenta per primo

Lascia un commento