di ENNIO SIMEONE – Dispiace di dover dissentire da Marco Travaglio, ma questa volta Giorgio Napolitano ha ragione (anche contro… se stesso). In sostanza l’ex presidente della Repubblica – assumendo una posizione in stridente contrasto con quella che assunse tre ani fa, quando portò a Palazzo Chigi Matteo Renzi – ha detto chiaro e tondo due cose: che la corsa ad elezioni politiche anticipate è una follia nelle condizioni in cui si trova l’Italia e che la fretta di riportare gli italiani alle urne è talmente insensata da aver indotto a sottoscrivere in via Sant’Andrea delle Fratte (sede del Pd) un patto extraparlamentare tra quattro capipartito, nessuno dei quali eletto in parlamento, su una legge elettorale pasticciata e anticostituzionale.
E quanto abbia ragione Napolitano nell’affermare una cosa che (ci sia consentito ricordarlo) abbiamo scritto anche noi nei giorni scorsi è dimostrato da ciò che è accaduto ieri: l’apparizione massiccia alla Camera dei franchi tiratori (66 certi, 100 probabili) nella votazione sull’eccezione di incostituzionalità della bozza di legge elettorale, seguita dall’annuncio di Grillo di indire una nuova consultazione online degli iscritti al M5s per avere l’avallo alla prosecuzione del patto che ha imprudentemente (o furbescamente?) sottoscritto con Renzi, Berlusconi e Salvini.
L’incongruenza che più affligge l’ex comico, e che è stata sollevata anche da esponenti di peso del suo Movimento, riguarda il rischio – anzi la certezza – che con quella legge si vada verso un parlamento nominato almeno al 70% dalle segreterie dei partiti, rischio reso concreto dal meccanismo delle liste bloccate nei collegi senza possibilità per gli elettori di esprimere le preferenze. Grillo dovrà dimostrare di non volersi allineare agli altri tre sponsor delle legge nel nominare eletti ed eleggibili. E se non riuscirà a far cambiare le regole dovrà far saltare il tavolo della trattativa.
Anche perché vi è di più: sempre sotto la spinta della incomprensibile fretta, i collegi uninominali su sui si fonda questa legge sono disegnati in base al censimento della popolazione italiana effettuato nel 1991 e non – come prescrive la Costituzione – in base all’ultimo censimento, che è del 2011.
Insomma non si può imporre al paese una legge elettorale pasticciata, incostituzionale e irrispettosa del diritto di voto dei cittadini agitando lo slogan che “gli italiani vogliono andare a votare”. Logica vuole che gli italiani possono essere interessati ad andare alle urne solo se il loro voto conta qualcosa nella scelta di chi li dovrà governare, non se alle urne vengono mandati con “qualunque legge elettorale” (slogan di Salvini, ma anche di Renzi e Grillo, un po’ meno di Berlusconi) per appagare la frenesia di chi spera di tornare a Palazzo Chigi o di chi spera di trarne comunque un po’ di popolarità in più e una fetta di potere in più.
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