Anche la demagogia ha un limite. E quando lo sorpassa può sfociare nella giustizia sommaria. Sta accadendo pericolosamente in questi giorni. Pericolosamente sia perché si sta manifestando nei palazzi del governo per antonomasia, Palazzo Chigi e Viminale, sia perché non incontra argini né nella opposizione né dentro il partito di maggioranza, il Pd. Dove anche coloro che non si sono allineati supinamente alla prepotenza del capetto fiorentino, subiscono passivamente, quasi timorosi, i suoi diktat e le sue indegne sparate propagandistiche, come il plateale annuncio d’impronta berlusconiana della abolizione indiscriminata dell’imposta sulla prima casa.
Ora siamo arrivati all’assurdità dell’annuncio via twitter della rimozione di un prefetto (quello di Treviso, per aver assunto una decisione – opportuna o inopportuna che sia, ma nella propria legittima discrezionalità – sulla dislocazione di un gruppo di migranti, d’intesa con il presidente della Regione Veneto) prima da parte del presidente del Consiglio, poi da parte del ministro dell’Interno. Il quale ha fatto eco all’altro pappagallescamente addirittura anticipando la decisione del Consiglio dei ministri sull’ipotesi di provvedimento nei confronti del prefetto Maria Augusta Marrosu (senza aver neppure ascoltato le ragioni della sua scelta), così come due giorni prima aveva “bruciato” magistratura e carabinieri nel dare la notizia di un arresto per la rapina all’orafo di via dei Gracchi a Roma.
Sorge il sospetto che Alfano abbia voluto farsi perdonare dal suo superiore la dichiarazione di dissenso dalla campagna scatenata contro il presidente siciliano Crocetta dal capo del Pd e del governo – anche per bocca della pulzella del Friuli, Debora Serracchiani – per una inesistente intercettazione, autorevolmente ma vanamente smentita dalla Procura di Palermo. Ma ciò non attenua la gravità di tali comportamenti, del tutto diversi da quello avuto nei giorni scorsi, per esempio, nei confronti di un’altra intercettazione: quella (non smentita) di una conversazione dell’allora ancora sindaco di Firenze con un ufficiale della Finanza, in cui motivava il golpe contro Enrico Letta, allora presidente del Consiglio. Anzi, la pulzella del Friuli ne deplorò la divulgazione. E il presidente del Pd, Matteo Orfini, insiste nel ribadire che il suo è un partito garantista. Purché garantisca il suo segretario.
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