di ENNIO SIMEONE – Una volta tanto – ma è il caso di sottolinearlo – Matteo Renzi ne ha detta una giusta. L’ha detta all’apertura della decima edizione della sua Leopolda: «Se facciamo cadere questo governo un mese dopo che lo abbiano fatto nascere ci ricoverano» (sottinteso: “in manicomio“). Peccato che ogni giorno da lui, o da qualche suo portavoce, arrivino bordate contro questa o quella norma inserita nella manovra economica del governo o soltanto proposta da qualche parlamentare della maggioranza o da qualche ministro o sottosegretario per tentare di raggranellare un po’ di soldi indispensabili a tamponare la falla finanziaria ereditata dai governi precedenti. Ma lui dice che quelle non sono bordate ma semplicemente “proposte“, anzi “idee, non ultimatum“.
Sarà. Ma non ci è parsa una semplice “idea“ il modo perentorio e ultimativo col quale è stata da lui chiesta – ribadita dal pur moderato vice capogruppo del suo neonato “Italia Viva» alla Camera, Luigi Marattin – la cancellazione di “Quota 100“. È la legge – è bene sempre ricordarlo – che consente ad un lavoratore giunto ai 62 anni di età con almeno 38 anni di contributi (totale 100) di andare in pensione, sia pure con un trattamento economico inferiore a quello che avrebbe se aspettasse di compiere i 67 anni previsti dalla norma di base.
E’ vero, a quanto pare, che questa legge (nata come correttivo alla legge Fornero) non ha sortito nella misura sperata anche lo scopo di creare tanti posti di lavoro per giovani quanti ne hanno lasciato vacanti i fruitori di “Quota 100“, ed è vero che non fa differenza tra chi è reduce da un lavoro usurante e chi ne ha svolto uno sedentario, ma è altrettanto vero che essa ha una validità limitata nel tempo (solo 3 anni a titolo sperimentale) e soprattutto è vero anche che lo Stato ha il dovere di rispettare gli impegni assunti con i cittadini e ha il dovere di tener fede alle legittime aspettative che ha creato in chi di conseguenza ha programmato il suo immediato futuro. E’ tollerabile il ragionevole correttivo di una legge (per esempio, nel caso specifico, delimitare le categorie che possono beneficiarne), ma la cancellazione diventerebbe una ingiustizia, oltre a dare una pericolosa immagine di inaffidabilità di chi quello Stato lo governa.
Ma, visto che Renzi contrappone lo “spreco di Quota 100» alla scarsità di fondi destinati dal governo all’occupazione giovanile a causa della insufficienza del taglio del “cuneo fiscale“ sia per le aziende sia per i dipendenti, potrebbe dare un bel contributo alla sopravvivenza del governo (di cui fa parte con suoi ministri e sottosegretari) proponendo una misura che nessuno finora (neppure i sindacati, terrorizzati anch’essi dal timore della impopolarità), ha avuto il coraggio di proporre e che, se venisse da lui, avrebbe un valore dirompente: attingere fondi per un adeguato taglio del cuneo fiscale nella manovra economica dall’abolizione del bonus di 80 euro.
Follia? Provocazione? No: semplicemente la fedele attuazione della delibera decisa proprio dal governo Renzi 5 anni fa. Il quale un pomeriggio del mese di aprile del 2014 uscì dalla riunione del Consiglio dei ministri annunciando «Il taglio del cuneo fiscale». Che, precisò (e dovrebbe esistere la registrazione nelle teche Rai o nell’archivio audiovisivi di Palazzo Chigi), «porterà nelle tasche dei lavoratori un beneficio che oscillerà tra i 20 e i 120 euro mensili…Insomma mediamente 80 euro – precisò esibendo le cifre su una lavagna, ma cambiando una parolina: in media un bonus di 80 euro per dieci milioni di lavoratori e per sempre».
Mancavano 5 settimane alle elezioni europee. Pagamento immediato del primo bonus all’inizio di maggio, pochi giorni prima del voto. Renzi ebbe una strepitosa vittoria elettorale (il 40,8% dei voti al Pd, di cui era anche segretario). Ma anche l’unica. Seguita da sconfitte in costante successione, fino alla bocciatura nel novembre 2017 del referendum costituzionale, suggellata dal 18,7% delle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018.
Forse nella Leopolda del decennale Renzi potrebbe riscattarsi riavvolgendo il nastro delle promesse fino a quell’aprile del 2014.
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