di ENNIO SIMEONE – Un po’ balbettando, un po’ contorcendosi, un po’ contraddicendosi, e un po’ facendo il bullo, ieri sera davanti al compiacente e mellifluo Fabio Fazio (“Che tempo che fa“? Clima stagnante), il segretario dimissionario del Pd Matteo Renzi ha – commettendo una scorrettezza verso i suoi compagni di partito – anticipato ciò che la Direzione dem è chiamata a decidere il 3 maggio. E cioè che con il M5s ci si può incontrare, si può anche discutere, ma non per far nascere un governo.
E ha ripetuto il vecchio ritornello, basato su una falsa premessa: “Chi ha vinto le elezioni deve dimostrare di saper fare il governo”. Premessa falsa perché lui sa benissimo che con la legge proporzionale che porta il nome di un suo fedelissimo (l’ex capogruppo Pd, ora vice presidente, della Camera, Rosato) ci sono due partiti che hanno ottenuto un ottimo successo – M5s e Lega – ma non possono essere definiti “vincitori”, non disponendo, nessuno dei due, della maggioranza assoluta di Camera e Senato. Pertanto, come sempre accade nelle democrazie regolate da una legge elettorale proporzionale, questa maggioranza va costruita in parlamento tra più forze politiche, anche diversa tra loro.
Ma ancora una volta Renzi, come hanno fatto in queste settimane i suoi vari portavoce, ha dunque lanciato un esplicito invito a Di Maio e Salvini ad allearsi tra loro per formare un governo, nella speranza che il loro tentativo provochi disastri al paese e sulle macerie possa mettere nuove radici il Partito democratico, consumando la sua vendetta contro gli italiani che il 4 marzo hanno “sbagliato a votare”. Unica eventuale concessione: tornare subito alle urne, con elezioni convocate da un eventuale “governo del presidente” sostenuto da tutte le forze politiche, possibilmente con una nuova legge elettorale (difficilissima da varare in una situazione del genere).
Ora si vedrà se la Direzione del Pd convocata per giovedì avallerà questa scelta suicida. Suicida perché gli avversari avranno buon gioco nell’accusare il Pd di essersi assunta la responsabilità di costringere gli italiani a tornare alle urne e a tenersi per un lungo periodo un governo precario, dovendo invece affrontare problemi di notevole entità come – uno per tutti – l’aumento dell’Iva per far pareggiare i conti.
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