di ROMANO BARTOLONI – Con medaglia d’oro al valor militare, Roma è stata proclamata città partigiana 74 anni dopo la liberazione dal nazifascismo del 4 giugno 1944. Il prestigioso riconoscimento della Repubblica italiana ha avuto una pluridecennale gestazione, nonostante siano rimaste vive nella memoria le sofferenze e le persecuzioni patite dalla popolazione: dalla deportazione di massa degli ebrei del ghetto all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Forse è stata ritardata da radicati pregiudizi e polemiche tossiche sull’atteggiamento fatalista e rassegnato dei romani di allora.
Capi partigiani e ed esponenti comunisti di spicco come Giorgio Amendola si lamentavano che “la grande maggioranza della popolazione romana era attesista, ben decisa a lasciare passare le settimane e i mesi prima dell’arrivo degli alleati senza farsi trascinare in faccende rischiose. Tutti, tranne qualche eccezione, si facevano i fatti loro”.
Oggi cultura, letteratura e politica dell’antifascismo hanno ricostruito con il senno dei posteri il clima e la storia di quei giorni. Così, con decreto del Presidente della Repubblica del 16 luglio 2018 e pubblicizzato in questi giorni, a Roma è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare per le sue lotte di Resistenza nei 9 mesi di occupazione, sintonizzandole con le epopee del Risorgimento.
Ecco le motivazioni del Capo dello Stato: «La Città eterna, già centro e anima delle speranze italiane nel breve e straordinario tempo della Seconda Repubblica romana, per 271 giorni contrastò l’occupazione di un nemico sanguinario ed oppressore con sofferenze durissime. Più volte Roma nella sua millenaria esistenza aveva subito l’oltraggio dell’invasore, ma mai come in quei giorni il suo popolo diede prova di unità, coraggio, determinazione. Nella strenua resistenza di civili e militari a Porta San Paolo, nei tragici rastrellamenti degli ebrei e del Quadraro, nel martirio delle Fosse Ardeatine, nelle temerarie azioni di guerriglia partigiana, nella stoica sopportazione delle più atroci torture nelle carceri di via Tasso e delle più indiscriminate esecuzioni, nelle gravissime distruzioni subite, i partigiani, i patrioti e la popolazione tutta riscattarono l’Italia dalla dittatura fascista e dalla occupazione nazista».
Non è casuale il richiamo del Quirinale alla Repubblica romana del 1849, per intenderci: quella del triumvirato con Mazzini, perché nel dopoguerra il Capo dello Stato di allora, il liberale Luigi Einaudi, concesse la prima medaglia d’oro al valor militare non alla Roma della resistenza antifascista di quegli anni, forse considerando i tempi prematuri, bensì alla lontana Roma della resistenza garibaldina contro i francesi assalitori per ripristinare il papato.
Diversamente è accaduto per la cugina Parigi che ha ottenuto il riconoscimento della sua Resistenza, la Croce di Lorena, già pochi mesi dopo la liberazione nel 1945, e che da allora compone il vessillo cittadino. Probabilmente perché il martirio della capitale d’oltrealpe era durato più a lungo (per oltre 4 anni fino al 25 agosto 1944) e perché l’allora presidente De Gaulle era stato capo supremo della controffensiva francese.
A proposito “delle gravissime distruzioni subite”, adesso sarebbe anche il tempo di riconoscere Roma città martire per le migliaia di morti e per le sofferenze patite sotto i bombardamenti americani dal 19 luglio 1943 alla liberazione del 4 giugno 1944 nonostante si fosse autoproclamata città aperta con la benedizione del Papa Pio XII. Documenta sulla capitale sotto le bombe l’illustre storico Umberto Gentiloni Silveri, cugino dell’ex premier Paolo, che “Dal luglio 1943 si contano 51 incursioni aeree che provocarono, secondo le stime più recenti, quasi 7mila vittime” (complessivamente in Italia le vittime dei bombardamenti “alleati” furono 60mila).
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