Abituati alla comicità televisiva, rischiamo di perdere il contatto fisico e mentale, quel moto del corpo e della mente che esplode quando assistiamo a qualcosa che rompe i confini per farci piegare in due dalle risate. Ma l’apertura all’ignoto del comico può ancora accadere a teatro. E questa volta è successo grazie a Euhoè!, monologo di Daniele Parisi andato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma.
Attore, autore, musicista, cantante, bizzarro menestrello che sale dalla platea, Parisi, con il suo ultimo spettacolo, ci immerge in un turbine di parole e suoni, movimenti e urla, latrati e loop machine, canzoni e schitarrate fino a farci ricredere sul fatto che esista ancora la possibilità di ridere di gusto.
Il monologo inizia con un profetico santone contemporaneo che, rimbalzando tra gli endecasillabi di Dante e la più fracica battuta di strada, proclama la fine dei tempi fino a incastonarsi nella corte di un condominio: lo aspetta un povero Francesco qualunque che urla il nome della sua bella Luana, chiusa dietro una finestra o forse svanita nel nulla. Ed è in questo nulla che Parisi lascia galleggiare i suoi personaggi, tutti veracemente romani, in una deriva che rappresenta bene lo scioglimento dei riferimenti inquadrato dal santone mezzo poeta che ha aperto lo spettacolo. Francesco senza la sua Luana è perduto, non è più sé stesso e forse non è più nessuno. Così come siamo noi spettatori, continuamente sbalzati di personaggio in personaggio, senz’appigli, se non una ossessiva ripetitività di suoni registrati in diretta dall’attore e riprodotti senza sosta.
Quello che fa di Euhoè! un lavoro comico unico è il suo profondo legame con una sorta di esistenzialismo primitivo che invece di seppellirci, tra le risate ci fa risorgere. I suoi personaggi sono sempre macchiette, ma sono anche segni di un esistere connesso alle altezze dei pensieri più profondi, e il loro alternarsi sballottante, che ci disarciona dal nostro ruolo di spettatori attenti, è un gioco al rilancio che continuamente ci sorprende.
La struttura è esile e la drammaturgia forse abbozzata, ma non è certo questo che ce lo fa apprezzare di meno. Euhoè! è un’infilata di sketch attorno a un centro privo di orientamento, in una riedizione dello strampalato teatro canzone di Enzo Jannacci, mescolato alla mimica di Dario Fo, alle performance di Antonio Rezza e all’animalità del primo Lucio Dalla.
Forse la figura che può parlare di Daniele Parisi come di un comico intellettuale – dove la pernacchia, che è sempre “comunista” come dice lui, è solo una parte di un castello più intrecciato, sfilacciato, cucinato per ore tra broccoletti e pasta al sugo – è un piatto abbondante di frattaglie che ad alcuni può risultare indigesto, ma è certo che a chi lo sa gustare, regala idilli di pensiero e soddisfazione di pancia.
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