RomaEuropa Festival 2019/ “Falce e Martello” di Don De Lillo: la letteratura in scena

di FEDERICO BETTA

 Julien Gosselin è un regista trentenne molto acclamato in patria, un giovane artista che deve la sua notorietà alla messa in scena del romanzo di Michel Houellebecq, Les particules élémentaires, ospitato nel 2013 al Festival di Avignone e portato in Italia dal RomaEuropa Festival del 2017.

Gosselin ha affrontato il lavoro di Houellebecq, uno tra i più controversi scrittori francesi, autore polemico, tacciato di nichilismo e accusato di islamofobia, segnando il solco del suo teatro: amore per la letteratura e per gli autori capaci di mettere in discussione ogni pregiudizio provocando la nostra visione della contemporaneità.

Con il suo ultimo lavoro, presentato in prima nazionale al RomaEuropa Festival 2019, Gosselin torna a confrontarsi con la letteratura contemporanea affrontando il racconto Falce e Martello di Don DeLillo (pubblicato in Italia nel 2013 da Einaudi nella raccolta L’angelo Esmeralda).

Lo spettacolo nasce come propaggine di un progetto fiume, durata 10 ore, presentato sempre al Festival di Avignone e tratto da alcuni dei più celebri romanzi dell’autore americano: Players, Mao II e The Names. La trama di Falce e martello è affidata alla voce narrante del protagonista, Jerold Bradway, speculatore rinchiuso all’interno di una prigione per criminali finanziari, costretto a guardare ogni giorno un notiziario di economia per bambini, scritto dalla propria ex moglie e presentato dalle sue due figlie, in cui si parla di costanti crisi economiche.

Racconto serrato, prima persona vivida ma rifratta tra diverse voci e piani temporali, ossessioni, notiziari, stralci di conversazione con i compagni di camera, carcerati che non si vedono mai. Il monologo è come un sogno lucido, un flusso di coscienza, con dati e analisi finanziarie, nomi di nazioni e città come tasselli di un viaggio all’inferno, Dubai, Abu Dhabi, la Grecia, il Portogallo, la Cina. Un rimescolamento tecnofinanziario di immagini precise che il protagonista riproduce dentro di sé, metafore o allucinazioni che sottolineano la condanna di un girone dantesco.

L’attore, un ipnotico Joseph Drouet, nel suo raccontare asciutto eppure visceralmente partecipato, non ha un cedimento nel ritmo serrato che accelera esponenzialmente. Solo in scena, sempre seduto davanti a un microfono, è inquadrato da una telecamera che rimanda la sua immagine su un maxischermo alle sue spalle. La riproduzione del testo integrale di De Lillo, la duplicazione della voce nell’amplificazione sonora e lo sdoppiamento dell’immagine nello schermo, fanno di Falce e Martello un amalgama multistrato, dove il mondo finanziario appare in tutta la sua evanescente concretezza. Sostenuto da un sottofondo elettronico ossessivo, ingabbiato da luci rosse al neon che variano di gradazione a seconda dell’intensità del racconto, Falce e Martello è un incubo ad occhi aperti nel nostro inconscio sociale, dove il bombardamento quotidiano della multimedialità ci rende, sempre presenti e al tempo stesso superficialmente distratti, complici e vittime di un sistema più grande di noi.

Si esce dalla sala con una pressione mentale non indifferente. Schiacciati da un viaggio tutto d’un fiato nelle parole taglienti di un autore potentissimo. Resta, come spesso davanti alla scarnificazione del teatro contemporaneo, un senso di spaesamento, dovuto forse anche, in questo caso, alla scelta radicale di fare della letteratura uno show.

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