di FEDERICO BETTA – Il Romaeuropa Festival di Roma porta nella capitale le esperienze di danza e teatro più interessanti nel panorama nazionale e internazionale. Vedere uno spettacolo del gruppo Agrupación Señor Serrano di Madrid ci pone di fronte a una domanda ineludibile: siamo al cinema o a teatro? Grazie al suo metodo, il gruppo spagnolo ha vinto il Leone d’oro a Venezia Teatro nel 2016 per il lavoro A House in Asia: una ricostruzione della cattura di Bin Laden attraverso lo sguardo di un western malinconico impiantato sul Moby Dick di Herman Melville. Mescolando clip video, immagini riprese e trasmesse in diretta sul palco, azioni che creano e muovono la scena, voci fuori campo, musiche di sottofondo e canzoni, la loro multimedialità crea in diretta un racconto e al tempo mostra la creazione dello stesso. Ecco che sul palco avviene allora qualcosa di nuovo, di originale, qualcosa di talmente nerd da sembrare un gioco fatto, con estrema perizia, da bambini curiosissimi per un pubblico di spettatori adulti.
Birdie però spinge ancora più a fondo la domanda iniziale. Partendo dalle pagine di un quotidiano proiettato su grande schermo, che si trasformano sotto i nostri occhi grazie alle azioni dei due attori in scena, il racconto si articola in una elaborata rappresentazione del contemporaneo, riflesso nelle immagini del film The Birds di Alfred Hitchcock.
La diretta video dal palco si alterna alle immagini e alle voci registrate, mentre i due attori si muovono leggeri come uccelli che planano su un campo da golf invaso da centinaia di pupazzetti, tra animali, carri armati, decine di bambini che gattonano e file di incidenti stradali. La bionda e raffinatissima Tippi Hedren, protagonista del film di Hitchcock, diventa, nelle mani del collettivo spagnolo, il segno della preoccupazione, della debolezza umana davanti ai mutamenti migratori e alla ridefinizione di confini e traiettorie.
Il détournement della scena, risultato della ricerca che il gruppo persegue tra cinema e teatro, in questo lavoro, come dicevamo, spinge ancora più avanti l’ansia di una domanda che si impone con chiarezza quando viene proposta l’analisi di una fotografia del fotografo spagnolo Josè Palazón. L’immagine ritirare due giocatori di golf che, su un verdissimo campo finanziato dai fondi europei, si fermano per osservare un gruppo di migranti arrampicati sul muro di cinta che circonda la città di Melilla. Ecco, grazie a questo corto circuito visivo, dove la serenità di uno sport high class si trasforma in un abisso dove il senso sfugge in ogni direzione, ci viene proposto di rimettere in discussione parole comuni come identità, territori e convivenza umana.
Ecco il confine sorpassato da Palazón, così come dalla compagnia spagnola. Qui non si tratta più di chiedersi se siamo al cinema o a teatro, così come non si tratta di chiedersi se stiamo giocando a golf o fuggendo dall’inferno. Ma quello che ci viene proposto è chiederci, ogni volta, che cosa sia un’immagine e chi la prepari per noi. E alla fine di un’analisi che smonta e rimonta la fotografia di Palazón, ci rendiamo conto che anche noi potremmo essere in grado di decidere se gli uccelli di Hitchcock sono solo corvi neri che ci aggrediscono, o piuttosto sono le nostre paura che proiettiamo nel mondo e dalle quali ci sentiamo minacciati.
Insomma Birdie, più lirico e cerebrale del loro incredibile A House in Asia, si propone come una riflessione meta artistica sullo statuto dell’immagine stessa: un’azione teatrale/cinematografica che si scrolla di dosso il peso dei confini che spesso separano i generi e le arti, ma anzi li assume con coscienza per sorpassarli continuamente e chiedere al pubblico di problematizzare ciò che ci circonda. Che siano immagini, uccelli, migranti o paure.
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