Segnali di sfaldamento nel partito-stampella dell’alleanza governativa, Ap-Ncd, dopo che il capogruppo in Senato, Renato Schifani, si è dimesso dalla carica spiegando la sua decisione in una conferenza stampa a Palazzo Madama. “Il progetto centrista di Alfano non lo condivido – ha detto -. Non mi sento attaccato alla poltrona o a posti di prestigio e lascio il mio ruolo da capogruppo perché non sono in linea con un’operazione che mi appare più da palazzo che da territorio e non manifesta il nostro posizionamento e identità di centrodestra”. La sua decisione è condivisa da altri senatori, come Giuseppe Esposito, Roberto Formigoni, Antonio Azzollini, che spingono per un ritorno di Ncd nel centrodestra, eventualmente per contrattare un nuovo patto del Nazareno.
Quella di Schifani è una scelta distante da quella del leader Angelino Alfano che pensa invece ad un’alleanza stabile con Matteo Renzi e il Pd. Anche se l’ex presidente del Senato ha assicurato che resterà in Ncd escludendo un ritorno fra le braccia di Berlusconi.
Schifani respinge anche la ipotesi di costituire un nuovo soggetto politico frutto dell’unione di Ncd con persone vicine a Casini e Tosi, senza Udc: “Una operazione di palazzo e non di territorio, che per me, invece, doveva essere quella di centrodestra”. In realtà sulla decisione di Schifani pesa anche il giudizio sostanzialmente negativo sulle riforme, “da me votate per disciplina di partito”, e sul referendum costituzionale.
Parole che fanno sembrano preludere a una presa di distanza dalla riforma Boschi e a un no al referendum. Un no già deciso dall’Udc, iI cui segretario, Lorenzo Cesa, in aperto contrasto con Casini, ha detto che il suo partito “continuerà a dare una mano a questo governo ma dirà no ad una riforma pasticciata che non dà tutele al nostro Paese”. Un no motivato anche dal fatto che “con questa riforma potrebbe venire fuori un Erdogan che usa gli strumenti che abbiamo messo in piedi per fare quello che ora sta facendo Erdogan in Turchia”.
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