di SERGIO SIMEONE* – E poi dicono che i talk show non servono a niente. Non servono, soprattutto, a farsi una opinione chiara sulle vicende oggetto delle animate discussioni. Io, invece, dopo aver ascoltato Michele Santoro a Piazza pulita, la trasmissione della “7” condotta da Corrado Formigli, mi sono reso conto che mi ero fatto della guerra Russia-Ucraina un’idea completamente sbagliata ed ora, grazie alle serrate argomentazioni del bravo giornalista televisivo, il quadro mi è divenuto di colpo del tutto chiaro.
Ma facciamo un passo indietro, a quando ancora brancolavo nelle tenebre dell’ignoranza. Quando il 24 febbraio le truppe russe hanno varcato i confini dell’Ucraina ed hanno iniziato, muovendo centinaia di carri armati, ad accerchiare Kiev io ho pensato che Putin fosse un invasore di uno Stato sovrano. Quando ho visto che i russi, con bombardamenti aerei e con l’azione dell’artiglieria trasformavano le città ucraine in cumuli di macerie ho pensato che Putin fosse un barbaro. Quando ho visto che migliaia di civili venivano uccisi o feriti e donne (e perfino bambini) venivano stuprate ho pensato che Putin fosse un macellaio. Quando, infine, ho visto che milioni di vecchi, donne e bambini abbandonavano il Paese per sottrarsi agli orrori della guerra ho pensato che Putin fosse una calamità biblica che stava colpendo un intero popolo.
Dopo aver sentito Michele Santoro mi sono accorto che… non avevo capito un bel niente. Macchè invasore. Se proprio vogliamo definire Putin con un aggettivo, il termine che gli si addice di più è ingenuo. Lui si è cacciato con la sua “operazione speciale” nella trappola tesagli dall’astuto e malvagio Biden, il quale – udite, udite – ha addirittura fornito agli ucraini armi ed intelligence per resistere all’aggressione. E non basta. Poichè la nuova offensiva della Russia si sta svolgendo in una situazione in cui le armi finora in dotazione degli ucraini sono inadeguate, il perfido presidente americano sta decidendo di inviare loro armi più moderne. La malafede dei faziosi detrattori di Putin è arrivata al punto di interpretare come atto ostile contro l’ONU perfino un gesto di affettuoso saluto al suo segretario: il lancio di un missile russo su Kiev mentre Guterres era a colloquio con Zelensky.
E’ del tutto comprensibile, pertanto, che Michele Santoro si agitasse come un ossesso rispondendo, con grande spreco di decibel, al mite Paolo Mieli che lo invitava a chiedere a Putin di fermarsi, che è Biden che deve fermarsi smettendola di sostenere la resistenza ucraina. Eppure, a pensarci bene, la proposta di Mieli era rivolta proprio a tutelare l’incauto Putin dai pericoli paventati da Santoro: se uno sta entrando in una trappola, il modo migliore per non farla scattare è fermarsi e cercare la via della trattativa o, meglio ancora, tornare indietro. Ma forse la soluzione è troppo semplice per i frequentatori dei talk show televisivi, che ritengono di doversi necessariamente posizionare da un lato o dall’altro della barricata perdendo di vista il dato inconfutabile: in questa guerra c’è un aggredito e c’è un aggressore, però scendere in campo schierandosi con il coltello tra i denti da una parte o dall’altra può soltanto protrarre il conflitto sulla pelle del contendente più debole: la popolazione ucraina.
Altra cosa è, invece, discutere, dibattere e approfondire le analisi e le conseguenti strategie più efficaci per fermare l’aggressione e il protrarsi di una guerra che rischia di assumere sempre più allarmanti dimensioni e durata. E l’unica via percorribile per raggiungere questo obiettivo è la trattativa. Che diventa sempre più lontana e difficile quanto più numerosi e agguerriti sono i participanti nei due fronti.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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