Se lo “ius culturae” torna nell’agenda del parlamento

di SERGIO SIMEONE* – Ormai non ci speravo più dopo la batosta presa  dalla sinistra l’8 marzo 2018 e la formazione del governo giallo-verde. Ed invece lo ius soli, riformulato come ius culturae è inaspettatamente tornato nell’agenda dei lavori parlamentari.

Si tratta di un notizia molto bella per due ragioni. La prima è abbastanza ovvia: se la proposta di legge fosse approvata verrebbe sanata una grave ingiustizia ai danni di circa un milione di ragazzi che si sentono italiani ma non vengono riconosciuti tali e si avvierebbe un processo di integrazione  di persone, che possono divenire una risorsa preziosa per la nostra società, ma se frustrate nella loro legittima aspettativa si sentirebbero rifiutate  e potrebbero finire per coltivare sentimenti di rancore  verso il nostro Paese.

L’altra ragione, meno percepibile, ma altrettanto importante è che rappresenterebbe una svolta nel modo di concepire la politica in Italia. Ci spieghiamo meglio. In realtà già nella scorsa legislatura in Parlamento una maggioranza per lo ius soli c’era in quanto, se i partiti di sinistra lo  propugnavano,  i 5 stelle non erano del tutto alieni.  Questi ultimi, però, erano frenati nel dare il loro sostegno prima dal desiderio di non far passare una legge che potesse intestarsi il PD (allora considerato il principale avversario del movimento), poi dalla lettura dei sondaggi che risultavano non favorevoli allo ius soli. D’altra parte lo stesso PD si lasciò in realtà condizionare dai sondaggi negativi, tanto che il generoso tentativo di Luigi Manconi di inserire il provvedimento nell’agenda di fine legislatura non fu sostenuto dal suo partito.

Con il varo del governo giallo-rosso il primo impedimento, l’ostilità tra PD e 5 stelle, è caduto, ma non credo sia venuta meno la scarsa popolarità del provvedimento. La gente è ancora intossicata dalla campagna di odio e di paura promossa  dalla Lega di Salvini e dai suoi alleati per capire che la legge tornerebbe a vantaggio non solo dei diretti destinatari, ma di tutto il Paese. Se nonostante ciò il governo  dovesse persistere nel portare avanti la legge (affrontando la bagarre che certamente sarà scatenata dalla destra, in Parlamento, nelle piazze e sui social), vorrebbe dire, ecco la svolta, che intende investire non in ciò che riscuote immediato e facile consenso, ma in ciò che è ragionevolmente necessario al benessere della società, anche se i risultati non si vedranno subito.

E’ una svolta necessaria per affrontare  tematiche che incideranno profondamente sul nostro modo di vivere e che richiederanno anche misure impopolari. Si pensi, per fare un esempio, alla necessità di una politica di tutela dell’ambiente. In teoria sono tutti d’accordo, ma basta guardare  che cosa è successo in Francia quando Macron ha deciso, per scoraggiare l’uso di fonti di energia fossili, un leggerissimo, quasi impercettibile, aumento del prezzo del gasolio (6,5 centesimi a litro!) per capire che cosa potrebbe succedere quando si passerà dalle parole ai fatti.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato scuola della Cgil

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