Se rileggessimo “Delitto e castigo” di Dostoevskij (e se lo rileggesse anche Putin)…

di SERGIO SIMEONE* – Uno dei frutti tossici della guerra voluta da Putin è il solco di odio che  è stato scavato tra ucraini e russi. Odio che ha finito per investire anche il campo della cultura e perfino i grandi romanzieri russi.

E’ perfettamente comprensibile la rabbia di un popolo che vede devastato il proprio Paese da un esercito invasore mentre milioni dei propri abitanti (soprattutto donne e bambini) sono costretti a lasciare la loro patria per trovare scampo all’estero. Eppure è sbagliato estendere la rabbia a questi autori, anche perché molto spesso le loro opere contengono messaggi che sembrano anticipare una condanna di chi è responsabile del dramma del popolo ucraino.

E’, ad esempio, il caso di Dostoevskij. Ai primi di marzo, quando in Italia qualcuno tentò di bloccare un corso universitario sulle opere dello scrittore russo, ci fu una sollevazione generale, perché – pensammo tutti – Dostoevskij non appartiene ad uno stato, ma a tutta l’umanità, come Shakespeare, Dante, Goethe.

Ma c’è un motivo in più per bocciare la sua “censura”: Dostoevskij è lo scrittore più antiputiniano (ante litteram naturalmente) che sia mai esistito. Qualcuno penserà che questa sia una boutade, ma se si va a rileggere il suo capolavoro “Delitto e castigo”, ci si rende facilmente conto che si tratta di una affermazione non improvvisata, ma ben fondata.

Come nasce infatti la decisione del giovane Raskolnikov (il protagonista del romanzo) di uccidere la vecchia usuraia? Nasce da una riflessione su Napoleone: come è possibile che Napoleone per perseguire i suoi ambiziosi obiettivi abbia sacrificato tante vite umane senza avvertire alcun rimorso? Evidentemente chi ha dentro di sé grandi ideali ha un valore tale da avere il diritto di sacrificare le vite che appartengono a uomini che non hanno, se commisurati a quegli ideali, alcun valore. Se ciò è vero, conclude Raskolnikov, io che ho grandi ambizioni, ma son povero, ho il diritto di uccidere una usuraia, un essere spregevole che non ha alcun valore, ed usare i suoi preziosi per realizzare le mie ambizioni. Ma dopo aver compiuto il delitto Raskolnikov comincerà ad essere tormentato dal rimorso e, aiutato in questo dalla giovane Sofia, santa e prostituta (perché si prostituisce per sfamare il vecchio padre ed il fratellino, ma  sente con forza i valori del Vangelo) arriverà a far proprio il principio evangelico che ogni persona è un valore e che nessuno ha il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano, per nessuna ragione. Di qui nasce il suo desiderio del castigo come unico mezzo che possa liberarlo dallo stato di angoscia da cui è oppresso. Desiderio che lo porterà alla confessione ed al carcere in Siberia.

Ebbene Putin si sta muovendo, a partire dalla occupazione della Cecenia, spinto, come Napoleone, dall’ambizione di essere il realizzatore di una impresa grandiosa: restaurare l’impero zarista e fargli occupare il ruolo di grande potenza mondiale. L’invasione dell’Ucraina costituirebbe una tappa fondamentale nella realizzazione del suo sogno perché essa comporterebbe anche la destabilizzazione della decadente Europa e la conseguente dimostrazione della superiorità del modello politico e culturale russo rispetto alle democrazie dei Paesi occidentali. Putin ritiene che questo progetto sia  così nobile da dargli il diritto di produrre conseguenze tragiche nelle persone comuni: migliaia di vite perdute, per giunta nei due popoli, russo ed ucraino,  maggiormente falcidiati dalla seconda guerra mondiale, città distrutte, crisi alimentare mondiale, che provocherà la morte per fame di milioni di persone. Ma che valore hanno le vite delle persone comuni rispetto alla possibilità di ripristinare il grande impero russo? Per Putin nessuno.

Riuscirà Putin  a capire che non ha alcun diritto di disporre della vita degli uomini per realizzare le sue ambizioni? E’ un’impresa ardua, perché, mentre Raskolnikov viene aiutato nel suo tormentato percorso verso la verità dalla prostituta santa Sofia, Putin è attualmente circondato da una corte di prostituti, nessuno dei quali è santo, a partire da quel Kirill, il patriarca che ci ricorda molto i papi medioevali che bandivano le crociate. E’ sperabile che riescano nell’impresa i maggiori leader europei che gli stanno tendendo una mano, dopo aver dato un contributo determinante a contenerlo sul piano militare. Sembra, tra l’altro, che ultimamente anche Biden (forse convinto dal suo amico Draghi)  si sia unito ai costruttori di pace.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil 

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