SECONDO ME/ Se “short termism” fa rima con “populism”, chi ne è il vero campione?

di SERGO SIMEONE – L’economista inglese Andrew G. Haldane, nel suo contributo al libro di Jacobs e Mazzucato, “Ripensare il capitalismo”, fa notare che negli ultimi tempi si è andato affermando lo short termism. Nessuno, cioè, ha più voglia di aspettare molto tempo prima di ottenere i risultati di un investimento, vuole che questo dia i suoi frutti in tempi brevissimi. Il trionfo dello short termism lo possiamo osservare in ogni campo dell’attività umana: dalla agricoltura – dove si privilegiano le piante, magari ottenute mediante ibridazioni, che arrivino entro breve tempo nella fase della fruttificazione – agli investimenti, sia produttivi che finanziari, che devono produrre subito dividendi per gli azionisti.

La politica, ovviamente, non poteva essere esente da questa che io ritengo una grave patologia e che ha trovato il terreno favorevole nel pauroso abbassamento del livello culturale dell’uomo medio prodotto dalla rivoluzione digitale.

Naturalmente devo una spiegazione a questa mia affermazione così perentoria. Lo short termism in politica significa il prevalere della tattica sulla strategia. La tattica, infatti, mira ad obiettivi immediati. La strategia ha obiettivi di lungo respiro. La tattica non ha bisogno di grande cultura: tutti sono in grado di vedere i risultati immediati di un provvedimento. La strategia ha bisogno di cultura perché nasce da elaborazione e capacità di visione del futuro e nell’immediato può anche non produrre risultati visibili.

E chi è oggi il maggiore responsabile del cedimento della ragione rispetto agli umori che nascono dalla ”pancia”, e quindi dell’illusione che a tutti i problemi ci sia sempre una soluzione semplice e di efficacia immediata se non l’uso sconsiderato del web ?

Io ritengo che una delle ragioni del successo dei 5 stelle stia proprio nella superiore capacità di questo movimento di destreggiarsi con i nuovi mezzi di comunicazione. L’assenza di una cultura di riferimento (“non siamo né di destra né di sinistra”) ha facilitato poi il loro compito di farsi veicolo passivo delle pulsioni della gente.

Ma, a pensarci bene, il successo prima, e la sconfitta poi, di Renzi stanno proprio nell’aver fatto ricorso a misure di natura puramente tattica (gli 80 euro, l’Imu sulla prima casa abolita per tutti a prescindere dal reddito dei proprietari). Perché, attenzione, la tattica dà frutti immediati (40% alle europee del 2014), ma, se avulsa da una strategia, diventa alla distanza un boomerang (quel 18% alle elezioni politiche del 2018). Perché la gente, visti i risultati immediati realizzati in alcuni campi, pensa che tutti i problemi, anche quelli più complessi, siano di facile ed immediata risoluzione . Gli elettori, pertanto, prima investono, dandogli fiducia, su chi fa intravedere una facile ed immediata soluzione ai loro problemi, poi lo mollano quando vedono che i problemi strutturali, quelli più complessi, e che richiedono più tempo, restano insoluti.

Ma allora , non è che Renzi ha perduto le elezioni perché è stato in realtà il primo populista ad andare al governo e gli elettori hanno scoperto il bluff?

 

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