di SERGIO TRASATTI/ Antonio Ingroia, avvocato e già Procuratore della Repubblica alla procura di Palermo, e il Professor Raffaello Lupi, docente di diritto tributario all’Università di Tor Vergata, sono intervenuti ieri sera nella trasmissione “L’imprenditore e gli altri” condotta da Stefano Bandecchi su Cusano Italia Tv, per commentare l’inchiesta della Guardia di Finanza, su disposizione del gip di Roma, sulla presunta evasione fiscale che ha portato le fiamme gialle a confiscare preventivamente 20 milioni di euro ai vertici dell’Università Niccolò Cusano (nella foto un momento della trasmissione: Ingroia, Bandecchi e il rettore Unicusano Fabio Fortuna).
L’avvocato Antonio Ingroia ha dichiarato: “C’è una certa inflazione degli strumenti cautelari. In questa vicenda l’accusa farà l’accusa e la difesa la difesa, ma la domanda è: era proprio necessario procedere con un sequestro di questa imponenza senza mai aver provato a sentire le ragioni della difesa? Un conto è che hai a che fare con un mafioso, e lo metti in galera con il rischio che può commettere il reato, oppure il truffatore che si mette in tasca il malloppo e lo porta via. Lo strumento cautelare è finalizzato ad impedire ulteriori conseguenze che derivano dal reato, che si possano commettere altri reati dopo aver commesso il primo (questo per le misure cautelari personali). Per le misure cautelari reali, come in questo caso il sequestro, servirebbe l’esigenza di un immediato pericolo che venga sottratto, disperso, il malloppo. Ora io mi chiedo, con tutto il rispetto per la finanza e per il GIP, se non sia meglio procedere ad una contestazione. Vicende come queste, fondate o non fondate che siano le ragioni della difesa e dell’accusa, tutti percepiscono che siamo in un settore di interpretazione e dove c’è interpretazione c’è discrezionalità, ecco, laddove c’è questo margine di discrezionalità, era davvero necessario procedere con una misura così brutale, con un sequestro preventivo di questo tipo?”.
Ingroia poi ha precisato: “Lo Stato sa che sta applicando un’interpretazione opinabile, questa interpretazione affronta il rischio di essere smentita davanti a un giudice finalmente terzo. L’imputato fa una causa plurimilionaria nei confronti dello Stato. E allora lo Stato rischia di pagare molto di più dell’entità del sequestro. Allora allo Stato non converrebbe piuttosto ascoltare le ragioni dell’imputato e i suoi legali prima di procedere? Questo è il punto di domanda. La polizia giudiziaria fa la sua parte, più reati trovi e più carriera fai. Il problema è il ruolo della magistratura neanche la magistratura deve essere l’avvocato della polizia giudiziaria. Ci dovrebbe essere un PM che talvolta ha delle competenze, talvolta no, può darsi che il PM non abbia oggi la forza di fare da filtro rispetto ad un’indagine di sequestro. Poi viene il GIP – che dovrebbe essere un argine costituzionale rispetto alla richiesta del PM – che finisce per fare una specie di copia e incolla di quello che ha proposto il PM che a sua volta fa il copia e incolla rispetto a quello che ha fatto la guardia di finanza. La Cassazione è intervenuta e ha dichiarato delle ordinanze cautelari nulle proprio perché è stata applicata la tecnica del copia e incolla”.
Il professor Raffaello Lupi (tributarista) si è invece è espresso così sull’evasione contestata: “Il concetto classico di evasione cui pensa l’uomo della strada quando sente evasione è uno che prende gli incassi e non li registra fiscalmente oppure registra spese fittizie, fa fatturare da paradisi fiscali. Questa è l’evasione: prendo i soldi e non li registro, oppure mi invento delle spese finte in modo da non pagare. Poi c’è l’evasione delle grandi aziende, che si chiama elusione: faccio degli artefici giuridici e mi metto nella condizione di non pagare. Poi c’è l’evasione da interpretazione, purtroppo con l’auto determinazione non è che ti bussa il fisco alla porta ma devi tu pagare le imposte, allora bisogna applicare il regime giuridico e sei tu che dici di aver un reddito di un certo tipo, si fa la dichiarazione e poi il fisco mi contesta. Voi vi siete considerati università – e quindi fuori campo dalle imposte sui redditi, perché è una funzione statale esercitata da un ente nato da un decreto del ministero- e loro vi hanno detto: siete un ristorante che si finge circolo culturale. Siamo nel mondo dell’evasione da tesi giuridiche. Voi dite: siamo università e loro dicono siete un circolo sportivo mascherato, perché con gli utili avete comprato altre cose su cui non mi dilungo. E’ chiaro che l’errore giuridico è macroscopico. Hanno trasformato l’università – che è università perché è investita dal ministero dell’università di una funzione statale, c’è anche una norma interpretativa che lo dice, quindi direi un caso di interpretazione palese – e hanno applicato la diversa disciplina delle palestre, dei ristoranti dei circoli culturali. Questo non c’entra nulla”.
La sottolineatura del famoso tributarista: “Nel regime delle Università sancito dal testo unico lo scopo di lucro non c’è. L’università può anche fare reddito e quel reddito resta fuori. Se una fabbrica di cioccolatini apre un’università, deve comunque togliere dai ricavi dei cioccolatini e dai costi dello zucchero le rette incassate e gli stipendi pagati ai professori perché quella è un’attività autonoma che va tirata via dal mondo dell’impresa. Teoricamente un’università pubblica non statale può anche aprire una catena alberghiera, cioè un’università pubblica non statale se ha degli utili, è chiaro che è al limite, si può aprire una fabbrica di pantaloni. Non è richiesto il vincolo di destinazione. Nella legislazione non c’è scritto che gli utili devono rimanere, è chiaro che poi il MIUR ti direbbe di smettere di produrre pantaloni ma compete al ministero dell’università, non alla guardia di finanza. L’università, se fa bene l’università, rimane tale anche dentro una fabbrica di pantaloni. Non è il nostro caso ma la disciplina giuridica dice questo: l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici. È una norma del 2019. Siccome le università non statali che sono enti pubblici per quanto riguarda l’attività universitaria (quindi i requisiti, i professori, le chiamate) magari per altri profili come le gare d’appalto quando devono fare dei lavori, dicono “ma noi non siamo enti pubblici”, cioè si può essere enti pubblici per un profilo e non enti pubblici per un altro. Per il licenziamento, ad esempio. Mentre per i professori devono fare il concorso, il capo contabile se sei un ente pubblico devi fare il concorso, se sei un ente non pubblico per i dipendenti li puoi assumere a chiamata diretta. Allora siccome molte università dicono “certo, siamo enti pubblici per quanto riguarda la didattica ma per le assunzioni siamo enti privati”, siccome c’era questa pluralità di essere enti pubblici e enti privati, allora hanno fatto la norma interpretativa. Se hai il riconoscimento sei comunque ente pubblico e quindi sei fuori IRES.
La conclusione del professor Lupi: “Le rette le hanno anche le università statali. L’università è un ente autarchico dove noi eleggiamo il rettore. È l’idea di autonomia universitaria che ha preso piede negli ultimi 30 anni. È un’evasione da interpretazione. È un rielaborare interpretativamente in chiave di disposizioni applicabili. Dietro c’è l’idea della lotta all’evasione. Il problema è l’esposizione mediatica. L’Italia è una repubblica democratica fondata sulle colpe di qualcuno, uno degli interpreti di questa narrazione sono i grandi evasori. Ma i veri grandi evasori non si fanno trovare”.
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