Amos Oz, uno degli scrittori israeliani più celebri e tradotti in tutto il mondo, è morto a 79 anni. Era malato di cancro. “Il mio amato padre è spirato a causa di un tumore, poco fa, dopo un rapido deterioramento, nel sonno ed in pace, circondato dalle persone che lo amavano”, ha scritto su Twitter la figlia di Amos Oz, Fania. “Rispettate la nostra privacy. Non potrò rispondervi. Grazie a tutti quanti lo hanno amato”.
“Una storia di amore e di luce, adesso grandi tenebre. Una immensa tristezza cala su di noi con l’inizio del riposo sabbatico. Un gigante della scrittura. Splendore fra i nostri autori. Un gigante dello spirito“: così il capo dello Stato israeliano Reuven Rivlin ha commentato la scomparsa dello scrittore Amos Oz. “Riposa in pace, caro Amos. Ci sei stato una cara compagnia”.
Le due penne di Amos
di MAURETTA CAPIANO (Ansa) – Non usava il computer e sulla sua scrivania aveva sempre due penne Amos Oz, lo scrittore israeliano morto oggi a 79 anni: una era quella politica che adoperava quando si “arrabbiava, ma tanto e davvero”, l’altra quella del narratore che stava usando per scrivere il suo nuovo, atteso, romanzo.
Ma di un libro si parla quando è finito, perché “mentre si scrive è come essere nella condizione di una donna incinta e una donna in attesa di partorire non dovrebbe mai essere sottoposta ai raggi X”, raccontava lo scrittore lo scorso giugno a Taormina per il Taobuk Festival, che lo ha premiato con il Taobuk Award for Literary Excellence insieme a Elizabeth Strout.
Su quel palco, in una delle sue ultime apparizioni nel nostro Paese, Oz aveva tenuto la sua lectio magistralis, confermando il suo sguardo acceso sul presente, la sua visione di intellettuale sempre in prima linea nella lotta contro le ingiustizie e i conflitti. E aveva puntato il dito sulla politica, diventata, a suo giudizio, “una seconda industria dell’entertainment, del divertimento. E, mi dispiace dirlo, anche molti media non fanno altro che fare del divertimento”. Si vota, ragionava lo scrittore, con l’idea “che sia una cosa leggera. Il voto, sotto certi punti di vista, è diventato una barzelletta. Ma, bisogna ricordare, e io non sono un leninista, quello che disse chiaramente Lenin: la politica è destinata a perdere se non le daremo la giusta importanza. La politica si è spettacolarizzata e questo ha portato a un disastro enorme che diventerà ancora più colossale se non riusciremo a rivalutare in modo pervicace tutti i veri elementi della democrazia”.
Cittadino appassionato, l’autore di Una storia d’amore e di tenebra, di Giuda e di Cari Fanatici (l’ultimo libro uscito in Italia per Feltrinelli) era arrivato anzi ad ipotizzare la necessità di un esame da far sostenere ai cittadini “prima di votare”.
Intanto, diceva, le conseguenze di questa deriva della politica si vedono chiaramente: “Quello che mi colpisce tantissimo dei profughi attualmente in Europa, è la loro sofferenza e la mancanza di speranza. Credo che l’unico modo per risolvere il problema sia quello di affrontarlo a casa loro. Se si fosse fatto qualcosa in passato per risolvere i problemi del terzo mondo non ci troveremo in questa situazione ora”. Anche quello che sta succedendo in America, sosteneva, non lascia grandi speranze: “Non dovrebbe mai esserci una situazione in cui i figli vengono divisi dai genitori. L’ultima volta che vennero separati i figli dai genitori fu nell’epoca nazista”.
Per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina, suggeriva, Trump dovrebbe piuttosto “cercare di trovare una riconciliazione, di lavorare per raggiungere un equilibrio tra i paesi ricchi e quelli meno ricchi. Non ci sono alternative”.
Quanto alla pace, spiegava, ce n’è di due tipi: “quella che si raggiunge quando si muore, e la pace pragmatica, quella che mi auguro ci possa essere tra Israele e la Palestina”. Lo Stato palestinese e lo Stato israeliano, questa l’opinione sostenuta da Oz, “dovrebbero, se non andare totalmente d’accordo, almeno convivere. Quella tra Israele e la Palestina è una vera e propria tragedia, una lotta tra due parti che sostengono entrambe di avere ragione e spesso hanno entrambe torto”. E le tragedie si possono risolvere in due modi: “shakespeariano, con il palco costellato di cadaveri e dove magari c’è anche la possibilità di fare prevalere la giustizia. Oppure in modo cechoviano, con molta infelicità e delusione, però lasciando tutti gli attori vivi. Bisogna capire che cosa significa un lieto fine, se scegliere la tragedia oppure no”.
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