Sindacato e Confindustria a confronto sul tema “Un patto per il Paese”

Una inedita “due giorni” di confronto tra Cgil e Confindustria promossa dal segretario del sindacato, Maurizio Landini: un evento che non ha precedenti e che sorprende favorevolmente dopo un periodo di attacchi accaniti ed  astiosi del presidente degli industriali Carlo Bonomi appena succeduto a Boccia. Di seguito riportiamo la sintesi di alcuni interventi, che hanno avuto come conduttrice Lucia Annunziata.

Quale patto per il Paese?

di EMANUELE DI NICOLA – Il faccia a faccia tra il segretario generale della Cgil e il presidente di Confindustria ha aperto la seconda giornata dell’evento organizzato dal sindacato. Tanti i temi trattati nell’incontro moderato da Lucia Annunziata: i contratti nazionali, la crisi della pandemia, i soldi del Recovery Fund e la grande questione del lavoro. È stato un confronto a tutto campo quello tra il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. L’evento, moderato da Lucia Annunziata, si è svolto al Teatro Brancaccio di Roma nella seconda giornata di “Futura 2020. Lavoro, ambiente innovazione”.

Il primo, inevitabile tema è l’Italia al tempo del Covid, tra le difficoltà del presente e la ricetta per ripartire. Apre Bonomi: “Oggi più che mai dobbiamo sederci intorno a un tavolo per fare un patto per il Paese. A prescindere dalle differenze, le decisioni che prendiamo influiranno nei prossimi trent’anni. Noi come parti sociali abbiamo una grande responsabilità”. Così Landini: “È il momento di investire sul lavoro, che in questi anni non è stato valorizzato: serve il rinnovo di tutti i contratti nazionali nel pubblico e nel privato, ecco l’investimento principale”.

Proprio i contratti nazionali sono un terreno di confronto. “Non è vero che non vogliamo i rinnovi – dice Bonomi – di 5,5 milioni di lavoratori circa 1,6 milioni hanno rinnovato, la vacanza contrattuale media è inferiore a dodici mesi. Dobbiamo fare meglio, ma l’impegno c’è. Nei contratti chiedo il rispetto delle regole, ovvero l’applicazione del Patto dell fabbrica”.

Maurizio Landini ribadisce le richieste del sindacato: “I contratti firmati – telecomunicazioni, legno, gomma-plastica – sono segnali positivi. Ce ne sono però tanti altri che non vengono risolti: i lavoratori dei multiservizi sono da sette anni senza contratto, così molti metalmeccanici e tessili. Tra pubblico e privato abbiamo oltre 12 milioni di lavoratori che aspettano il rinnovo, questo non va bene. Vanno affrontati tanti aspetti come smart working, formazione, necessità di investire”.

Il salario resta però la questione centrale. La Cgil ha chiesto al governo “di tassare meno in questa fase gli aumenti contrattuali, in via transitoria, per portare di più nelle tasche dei lavoratori”. Per Bonomi “non è la strada giusta, la decontribuzione si deve applicare al welfare aziendale. I soldi in tasca non è detto che si trasformino i consumi, anzi aumentano i risparmi”. La crescita del risparmio privato “avviene perché le persone hanno paura – replica Landini -, non vedono una prospettiva e sta a noi corpi intermedi cercare di costruirla”.

Sulle buste paga il leader della Cgil non è d’accordo con la visione degli industriali: “Va bene il welfare integrativo, ma non si può pensare che sostituisca i salari: oggi c’è un’esigenza salariale nel Paese, abbiamo gli orari più alti e gli stipendi più bassi. Non dare aumenti ai lavoratori è impensabile. Infatti nel contratto delle telecomunicazioni appena firmato c’è l’aumento medio di 100 euro. È essenziale anche perché i contratti nazionali danno risposte alle piccole e medie imprese, che sono il tessuto del Paese”. “Non propongo uno scambio tra salario e welfare – è la risposta di Bonomi -, ma tra salario e produttività: su questa siamo fermi da venticinque anni. C’è troppa contrattazione centralizzata e poca di secondo livello”.

In Italia stiamo vivendo una precarietà senza precedenti, prosegue Landini, frutto di leggi sbagliate: “Leggi che hanno favorito l’appalto e il subappalto, colpendo chi lavora e facendo concorrenza sleale tra imprese. Lo diciamo apertamente: bisogna cambiare queste leggi. Serve un nuovo Statuto dei lavoratori. Poi occorre una legge sulla rappresentanza per combattere i contratti pirata: un contratto è valido quando lo firmano le organizzazioni più rappresentative”.

Quindi l’uso dei fondi europei. Landini e Bonomi sono d’accordo che è una grande occasione e ribadiscono le idee diverse. Per Landini “i finanziamenti a pioggia alle imprese non hanno funzionato, i fondi non vanno spesi in questo modo, siamo contrari”. Secondo Bonomi “la vera opportunità è fare le riforme di cui il Paese ha bisogno, come la pubblica amministrazione che non funziona. Il governo ha detto che avrebbe istituito una cabina di regia sul Recovery Fund nella legge di bilancio, ma nella bozza non c’è traccia”.

Nella tragedia epocale del Covid è fondamentale non lasciare sole le persone, dice il segretario generale della Cgil, e insieme bisogna cambiare sistema: “I fondi devono essere legati a progetti con clausole, non possiamo disperdere risorse. Individuiamo punti precisi su cui investire: sanità, scuola, Sud, nuovo modello energetico, riforma degli ammortizzatori, formazione permanente. Poi la riforma fiscale: il 94% dell’Irpef lo pagano lavoratori e pensionati, affrontiamo il problema”.

Le ultime battute sono per il governo: per Bonomi “nella seconda ondata si è fatto trovare impreparato”. Secondo Landini “ora ha l’occasione irripetibile dei fondi europei: vanno usati nel modo giusto”. Ovvero a sostegno dei lavoratori italiani, perché proprio dal lavoro occorre ripartire.

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Quali politiche per l’occupazione femminile

di CARLO RUGGIERO

Quali politiche per l’occupazione femminile? Con Linda Laura Sabbadini, Andrea Ranieri, Fabrizio Patriarca e Susanna Camusso. Modera Daniela Preziosi

La pandemia ha colpito duro il mondo del lavoro italiano, ma per le donne ha fatto ancora di peggio: ha fatto precipitare una situazione già da emergenza nazionale. E’ quanto è emerso, in sostanza, dal dibattito “Quali politiche di genere o quale genere di politiche?, che si è svolto al Teatro Brancaccio di Roma nella seconda giornata di “Futura 2020. Lavoro, ambiente innovazione”, moderato da Daniela Preziosi di Domani.

Il Covid e suoi effetti sono stati ovviamente centrali nella discussione. Anche perché, come ha fatto notare da subito Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat “nel 2019 eravamo arrivati faticosamente a metà delle donne italiane occupate, grazie soprattutto a una forte componente di incremento del part-time involontario, penultimi nella classifica europea. Poi è arrivata la pandemia, il crollo dell’occupazione e le donne hanno perso più degli uomini, perché colpisce settori che occupano più donne”. Oggi quindi siamo a poco più del 48% di donne al lavoro, ma “la cosa grave – spiega Sabbadini – è che tra le 25-29enni siamo ultimi in Europa, con una tasso di occupazione del 45%, e lo stesso vale anche per le 30-34enni”. Una situazione, ha concluso “a dir poco disperata”.

“La pandemia, effettivamente, ha cambiato tutto, ma non ha migliorato le politiche di genere – ha confermato Andrea Ranieri, direttore della rivista Luoghi Comuni -. Anche perché il lavoro di cura è considerato in maniera inferiore”. “Pensiamo allo smart working – ha continuato – per le donne il tempo in casa è tempo dedicato alla cura, che devono impiegare per dar da mangiare ai bambini, per fare la spesa, ecc.. C’è una distinzione anche culturale, e il lavoro da fare per migliorare le politiche di genere è a anche un lavoro culturale”.

Per Fabrizio Patriarca, ricercatore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, “il problema riguarda non solo i settori in cui le donne sono impiegate e il gap salariale con gli uomini”, ma anche i carenti servizi di sostegno alla famiglia, che rendono impossibile la programmazione del lavoro per una donna”. Cosa che invece resta fondamentale per lo sviluppo e la qualità dell’occupazione femminile. Per questo azioni di decontribuzione e sostegno a breve termine non hanno effetti concreti.

In questo contesto, quindi, l’azione del governo non è stata decisiva. Per Susanna Camusso, responsabile Politiche di genere della Cgil, questo è un esecutivo “molto maschile” e lo ha dimostrato “nei mesi che abbiamo alle spalle”, e anche nelle “modalità con cui ha predisposto l’idea di un nuovo paese che deve uscire dalla crisi”. Le prime notizie sull’uso del Recovery fund e sulla manovra finanziari, lo confermano, perché per l’emergenza dell’occupazione femminile c’è troppo poco, “un occhio chiuso su un mondo che sta pagando il prezzo più pesante della pandemia, non avendo certo ricavato grandi risultati dalla gestione della recessione del 2014. Perché l’occupazione femminile è la vera emergenza di questo paese”.

(Con la collaborazione tecnica di Mauro Desanctis)

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