Come finirà il braccio di ferro ingaggiato dal governo italiano con gli altri paesi dell’Unione Europea sulle regole di accoglienza delle navi dei migranti provenienti dall’Africa? Per farsene un’idea vediamo quali sono le regole in materia.
1. Soccorrere persone in mare è obbligatorio, sia in ossequio alla nostra Costituzione, sia in ossequio al diritto internazionale.
2. In Italia l’omissione di soccorso ai naufraghi è reato ai sensi degli articoli 1113 e 1158 del codice della navigazione. La Convenzione di Amburgo prevede che tutti gli Stati con zona costiera sono tenuti ad assicurare un servizio di ricerca e salvataggio (SAR: Search and Rescue).
3. Tutti gli stati costieri sono tenuti dalla Convenzione a mantenere un servizio di SAR, e le SAR dei vari stati devono coordinarsi tra loro. Il Mar Mediterraneo è stato suddiviso tra i Paesi costieri nel corso della Conferenza IMO (International Maritime Organization) di Valencia del 1997. Secondo questa ripartizione l’area di competenza italiana è vasta un quinto dell’intero Mediterraneo, pari a 500 mila km quadrati. Però il governo maltese – come nel caso della nave Aquarius – si è avvalso sinora della cooperazione dell’Italia per il pattugliamento della propria zona di responsabilità e quindi il SAR maltese non risponde alle imbarcazioni che la contattano. A seguito della mancata risposta (o risposta negativa) della SAR maltese, la singola imbarcazione chiederà l’intervento della SAR italiana che coordinerà l’intervento. La Libia e la Tunisia, pur avendo ratificato la convenzione di Amburgo, non hanno dichiarato quale sia la loro specifica area di responsabilità SAR. L’area del Mar Libico confinante con le acque territoriali della Libia non è quindi posta sotto la responsabilità di alcuno Stato. Di fatto, l’unico soggetto che presta soccorso (anche) nelle acque confinanti con le acque territoriali libiche è l’Italia. In Italia l’MRCC di Roma ha il compito di assicurare l’organizzazione efficiente dei servizi di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare, che si estende ben oltre i confini delle acque territoriali (circa un quinto dell’intero Mediterraneo, ovvero 500 mila km quadrati). Il Comando Generale, infatti, assume le funzioni di Italian Maritime Rescue Coordination Centre (I.M.R.C.C.), e cioè di Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo, cui fa capo il complesso delle attività finalizzate alla ricerca e al salvataggio della vita umana in mare. L’I.M.R.C.C. mantiene i contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati per assicurare la collaborazione a livello internazionale, prevista dalla Convenzione di Amburgo.
4. Per “luogo sicuro dove condurre le persone salvate” (place of safety) è da intendersi quello in cui possono essere garantite innanzitutto l’incolumità e l’assistenza sanitaria dei sopravvissuti. In termini pratici questo vuol dire che, finito il salvataggio in mare, l’operazione SAR non è ancora conclusa: i naufraghi devono essere condotti in un luogo dove possono essere fornite loro le garanzie fondamentali (come non essere sottoposti a torture o poter presentare domanda di protezione internazionale). L’individuazione di tale luogo spetta alla SAR. Non sono infatti considerati “sicuri”, per esempio, porti di paesi dove si possa essere perseguitati per ragioni politiche, etniche o di religione, o essere esposti a minacce alla propria vita e libertà. Ad esempio, l’UNHCR ritiene che la Libia non soddisfi tali criteri in quanto non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, né le principali Convenzioni in materia di diritti umani.
5. Lo stato costiero ha il potere di negare l’accesso ai propri porti. Però le convenzioni internazionali sul diritto del mare, pur non prevedendo esplicitamente l’obbligo per gli stati di far approdare nei propri porti le navi che hanno effettuato il salvataggio, impongono e si fondano sull’obbligo di solidarietà in mare, che sarebbe disatteso qualora fosse negato l’accesso al porto di una nave con persone in pericolo di vita, appena soccorse e bisognose di assistenza immediata. La chiusura dei porti comporterebbe in ogni caso la violazione di norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati, a partire dal principio di non refoulement sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra. Il rifiuto di accesso ai porti di imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare può comportare la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), qualora le persone soccorse abbiano bisogno di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali). Il rifiuto, aprioristico e indistinto comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
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