di SERGIO SIMEONE* – Giorgia Meloni, dopo aver abbandonato le sue rodomontate elettorali contro i migranti (fermeremo i barconi con la flotta) perché, disumane ed irrealizzabili, mal si confacevano al nuovo stile fintamente umanitario adottato dopo la “presa” del governo, ha mutato tattica e, con il supporto della von der Layen, ha intrapreso la strada del dialogo con i vicini della sponda meridionale del Mediterraneo e segnatamente con la Tunisia.
In realtà è cambiata la tattica, ma non la sostanza della politica meloniana: le migrazioni vanno solo contenute impedendo il loro arrivo sulle coste italiane.
Ed è questa la ragione per cui interlocutore privilegiato è diventato il dittatore tunisino Saied: non
solo perché la Tunisia, con la sua crisi economica e politica è diventata una delle principali fonti di
emigrazione, ma anche perché è attraversando il suo territorio che i migranti subsahriani cercano
ora di raggiungere l’Italia. Occorre allora trasformare la Tunisia in cane da guardia dell’Europa,
come lo è stata la Turchia rispetto alle migrazioni provenienti dal Medio oriente.
Questa nuova impostazione, come sappiamo, è miseramente fallita e quegli stessi esponenti politici
che avevano aspramente criticato i ministri dell’Interno dei precedenti governi per il loro presunto
lassismo verso gli sbarchi di migranti (memorabili le intemerate di Salvini contro la Lamorgese ad
ogni sbarco di migranti e le continue ossessive richieste di sue dimissioni durante i governo
Draghi), una volta giunti al governo, hanno dovuto assistere impotenti all’arrivo nel 2023 di un
numero di migranti più che doppio rispetto all’anno precedente.
Intanto, a richiamare il governo ad avere una visione più complessiva dell’Africa e soprattutto ad
invitare l’Italia e l’Europa a riconoscere le proprie responsabilità per i conflitti che affliggono il
continente e che sono una delle principali cause del fenomeno migratorio, è arrivata nel mese di
luglio a politici ed organi di informazione una lettera aperta di. Alex Zanotelli ( il coraggioso ed
instancabile padre comboniano, che ben conosce l’Africa e i suoi problemi, espulso dal Sudan per
aver denunciato la corruzione di quei politici africani che si appropriano dei contributi
internazionali destinati ai loro Paesi, poi direttore di Negrizia e poi ancora missionario in Kenia).
In questa lettera Zanotelli ci ricorda tutti i conflitti che si svolgono nel continente nero, in Sudan,
Somalia,Eritrea, Centrafrica, Congo, Niger Ciad, Malì, Libia.
Questi conflitti sono alimentati dalla vendita delle armi prodotte dai Paesi occidentali. Voi dite di volere aiutare gli africani a casa loro? – dice il combattivo missionario – e allora cominciate a fermare il flusso di armi che dall’Europa
arrivano in questi Paesi: non è possibile contemporaneamente lucrare sulla vendita delle armi e poi
respingere le popolazioni che fuggono dalle guerre alimentate da questo infame commercio.
Ma a proposito di “aiutare gli africani a casa loro” ci ha pensato Riccardo Iacona con la sua
trasmissione “Presa diretta“, che nell’ultima puntata conteneva un réportage sul Senegal
a dare a questa espressione un significato nuovo. Questa espressione viene comunemente usata, infatti, da
chi vuole rifiutare l’accoglienza. Iacona ci dimostra, invece, che proprio accogliendo i migranti li si
aiuta a casa loro, perché, grazie alle rimesse dei migranti che sono stati accolti e lavorano in Europa,
oggi in quel Paese funzionano ospedali e scuole.
A chi scrive questo articolo il ragionamento di Iacona è apparso particolarmente convincente, perché ricorda che, negli anni cinquanta e sessanta, le campagne della sua provincia, l’Irpinia, terra di emigrazione, si riempivano di tante case rurali nuove, costruite proprio grazie alle rimesse degli emigranti e tante famiglie contadine riuscivano a
conquistare condizioni di vita più civili (la corrente elettrica e l’acqua in casa).
Certamente l’accoglienza non basta e non può essere illimitata. Ma questo non va solo declamato, va seriamente preparato, nell’interesse di africani e europei. I cambiamenti climatici soprattutto ci pongono ormai di fronte
ad una drammatica alternativa: se lasciamo che questi procedano indisturbati, la prima a subirne gli
effetti sarà l’Africa, ma la spinta ad emigrare in Europa diverrà incontenibile ed ingovernabile. Se
invece avremo l’intelligenza di abbandonare l’utilizzo delle energie fossili e di sostituirle con quelle
rinnovabili l’Africa con il suo sole potrebbe divenire una grande risorsa per tutta l’umanità.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Cgil scuola.
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