di FABIO CAMILLACCI/ Oro e argento nello skeet, una finale meravigliosamente azzurra all’Olympic Shooting Centre di Rio. Il titolo di campionessa olimpica se lo prende Diana Bacosi, uscita vincitrice dal duello con Chiara Cainero, chiuso con un abbraccio destinato a diventare una delle immagini simbolo di questi Giochi. Per l’Italia arrivano dunque la 14° e la 15° medaglia, con quattro ori e 7 argenti. E salgono a quattro quelle del tiro a volo dopo gli argenti di Pellielo (fossa olimpica) e Innocenti (double trap). Il bronzo va alla veterana Kimberly Rhodes, l’unica nella storia a vincere sei medaglie in sei edizioni: da Atlanta ’96 (nella foto Getty-Gazzetta.it: a sinistra la Cainero, a destra la Bacosi).
Meteo ostile. Le azzurre avevano superato brillantemente lo scoglio delle qualificazioni, disputate in condizioni meteo estremamente variabili tra vento e pioggia, rispettivamente terza e quarta sulle sei migliori: 72/75 per Diana Bacosi, due piattelli in meno per Chiara Cainero. In semifinale il capolavoro con 16/16 per l’olimpionica di Pechino è un 15 acciuffato all’ultimo sparo da Diana Bacosi mentre in tribuna la festa azzurra esplodeva sotto gli occhi del presidente del Cio, Thomas Bach.
Il derby tutto azzurro in finale: consacrazione Bacosi. Quindici piattelli centrati su sedici per Diana, uno in meno per Chiara in finale. Per la Cainero, 38 anni e già quattro Olimpiadi, è una medaglia frutto di una continuità straordinaria: oltre all’oro del 2008 sono in bacheca anche 4 vittorie in coppa del Mondo e 7 titoli europei. Per Diana Bacosi, a 33 anni e dopo 6 successi in Coppa del Mondo più 3 titoli continentali, è invece la consacrazione nel pantheon dei tiratori italiani.
Un altro bronzo dal canottaggio. Il secondo bronzo della spedizione dopo quello arrivato giovedi dal 2 senza. Lo conquista il 4 senza senior, barca campione del mondo in carica, dopo una grande rimonta sul Sudafrica completata negli ultimi 250 metri, un marchio di fabbrica che il capovoga Giuseppe Vicino, Matteo Lodo, Matteo Castaldo e l’ultimo arrivato Domenico Montrone hanno straordinariamente fatto valere in un serrate al cardiopalmo. Dunque, sono state azzeccate le scelte di La Mura e della direzione tecnica, i nuovi equipaggi formati al raduno preolimpico nel settore di punta hanno prodotto due podi di grande significato.
Testa a testa Usa-Australia per l’oro. La gara è stata vinta dalla Gran Bretagna, al quinto oro olimpico consecutivo nella specialità, a dimostrazione che questa barca per loro è una religione, anche più dell’otto, mentre seconda è stata una grande Australia, confermatasi d’argento per la terza Olimpiade consecutiva. Il valore degli avversari, dunque, rende ancor più merito al bronzo dell’Italia, maturato a suon di 40 colpi al minuto negli ultimi 300 metri, quando Vicino (che ha avuto problemi intestinali fino a ieri) ha chiamato l’attacco decisivo ai sudafricani: gli azzurri sono stati i più veloci negli ultimi 500 metri (1’26″33), rifilando più di tre secondi ai diretti rivali per il terzo posto.
La gioia azzurra per il bronzo. Una barca, come amano definirsi i ragazzi, orgogliosamente del Sud, con i napoletani Vicino e Castaldo, il pontino Lodo e il pugliese di Modugno Montrone, che ha fatto dell’unione (“Siamo come un pugno chiuso”) un punto di forza: “Non siamo mai andati in crisi – ha detto Vicino – neppure quando i sudafricani ci stavano davanti, perché sapevamo di poter contare sul nostro finale”. Castaldo, con i suoi 30 anni il “vecchio” del gruppo, ha una dedica speciale: “Per mia moglie Francesca, che sta per partorire nostra figlia Laura, spero di arrivare in Italia in tempo prima che nasca!”. Lodo, il più giovane del gruppo (21 anni) non ha dubbi: “Meglio una medaglia olimpica di un trionfo mondiale”. Al settimo cielo Montrone, salito in barca solo un mese fa: “Sapevo che eravamo competitivi, io ero il più voglioso di cominciare questa avventura, perché volevo dimostrare di essere degno di questo equipaggio”.
Scherma: crollo del fioretto italiano. Due sconfitte pesantissime, un trono perso da campioni olimpici e mondiali in carica. Gli azzurri del fioretto escono dall’Arena Carioca 3 scuri in volto come da tempo non succedeva. Travolti dalla Francia in semifinale, travolti alla stessa maniera dagli Stati Uniti nella finale per il bronzo: 45-30, poi 45-31. Roba da non credere. Addio finale, addio titolo, andato poi alla Russia di Stefano Cerioni (45-41), che quattro anni fa era sulla panchina italiana. Nessuno degli azzurri si trincera dietro scuse. “Non me l’aspettavo” ammette subito la riserva Andrea Baldini, che a Londra era stato il grande artefice del successo nella finale per l’oro e che qui, invece, ha incassato passivi pesanti. ll c.t. Cipressa lo ha gettato nella mischia già in semifinale, al posto di un Cassarà spento, irriconoscibile. Ma lui non è riuscito a dare quello che si sperava.
Rendimento a corrente alternata. “Con la Francia non sono mai riuscito a entrare nel match, poi con gli Stati Uniti pensavo di essermi sbloccato e infatti il primo assalto è andato bene. Ma con Meinhardt si è spenta di nuovo la luce ed è arrivata un’altra debacle (8-0 di passivo) e ho compromesso tutto. Mi assumo la responsabilità di questa sconfitta. No, non è un problema tecnico e nemmeno fisico, la spiegazione è solo mentale. Nella scherma la testa è tutto. E pensare che negli allenamenti preolimpici avevo sempre tirato molto bene. Ma la gara è un’altra cosa. Carriera finita? Se avessi preso una medaglia probabilmente sì. Ma non posso chiudere con la scherma dopo una sconfitta così”.
Amarezza Cassarà, Avola e Garozzo. Molto critico con se stesso anche Andrea Cassarà. “C’è grande amarezza – dice il bresciano, uscito a pezzi dal torneo individuale e incapace di fornire una reazione nella gara a squadre, lui che aveva già vinto i due ori precedenti, nel 2004 e nel 2012 -. E’ difficile parlare, di certo non potevamo immaginare un epilogo peggiore. A caldo è meglio non dire troppo, perché parlerebbe l’umore. Non siamo mai stati in gioco e quando perdi di 15 stoccate due incontri c’è poco da dire se non che i nostri avversari sono stati più forti. Il futuro? Di sicuro ora stacco, anche perché il 18 settembre mi sposo. E poi devo fare un po’ pace con la scherma”. Giorgio Avola, lui pure nella squadra olimpica a Londra, ci teneva un sacco a portare a casa un’altra medaglia: “Personalmente non ho grandi rimpianti perché ho dato tutto me stesso. La realtà comunque è che voi vedete solo la punta di un iceberg. Ma dietro c’è tutta una situazione particolare. All’Olimpiade noi quattro siamo arrivati dopo mesi di sfide fratricide per conquistare il posto. Gli Stati Uniti hanno quei quattro fiorettisti e su quelli costruiscono l’Olimpiade, noi ci dobbiamo scornare in molti di più, perché c’è una grande concorrenza interna, e probabilmente questo alla fine incide sullo stato emotivo e mentale”. Chiude il campione olimpico individuale Daniele Garozzo, il debuttante, al quale non si poteva certo chiedere il miracolo. “Sì, è brutto passare dall’oro di domenica a questa batosta. Io le consideravo due gare separate, non mi sono lasciato condizionare dal successo di domenica. Ma certo non sono riuscito a dare che un decimo di quello che ho dato nel torneo individuale. La colpa è di tutti, noi oggi non siamo stati una squadra. La sconfitta con la Francia sì, fa più male. E forse ci ha condizionato poi nel match con gli Stati Uniti. Negli ultimi due anni non ci avevamo praticamente mai perso, raramente avevano superato le 30 stoccate. E’ evidente che qualcosa è andato storto”.
Commenta per primo