TARTARIN di Lombardia

di SERGIO SIMEONE* – Matteo Salvini stava pensando di volare a Mosca  per chiedere direttamente a Putin, in nome della vecchia amicizia, di porre fine alla guerra contro l’Ucraina. Tutti si chiedono chi abbia ispirato il “capitano” spingendolo a fare una mossa così audace, ed alcuni pensano che l’ispiratore sia tal Antonio Capuano da Frattamaggiore in provincia di Napoli. Io credo che costoro siano fuori strada: l‘ispiratore è senza dubbio lo scrittore francese Alphonse Daudet e soprattutto il protagonista del suo romanzo Tartarin di Tarascona.

Chi è Tartarin di Tarascona? E’ un pacifico borghese che si è costruito una fama di grande cacciatore. Molti nel suo paese gli credono, ma alcuni cominciano a mostrarsi scettici, anche perché, scarseggiando  nella zona la selvaggina, a lui  come a tutti gli altri cacciatori di Tarascona non  hanno visto sparare ad altro che al proprio cappello lanciato in aria. E allora lui avverte il bisogno, per  smentire gli scettici, di compiere davvero una grande impresa. Ed un bel giorno annuncia che andrà in Africa a caccia di leoni. Ed effettivamente parte per l’Algeria. Ma qui giunto, poiché è molto ingenuo ed anche notevolmente imbranato,  non riesce  a cacciare un bel niente e finisce per uccidere prima un asino e poi un vecchio e pacifico leone cieco tenuto dal suo padrone come animale di compagnia. Ma lui, dopo aver indennizzato il padrone del leone, manda la sua pelle a Tarascona. I tarasconesi ritengono allora di avere la prova che il loro Tartarin sia davvero un grande cacciatore ed al suo ritorno lo acclamano come un eroe.

Matteo Salvini, a sua volta, era riuscito a costruirsi una fama di grande statista, tanto da fargli chiedere agli italiani, nel famoso discorso del Papeete, reso audace dai molti mojto bevuti, i pieni poteri. Ed era riuscito a convincere molti italiani (che gli avevano già dato addirittura il 34%  dei consensi alle elezioni europee, lievitati fino al 40% nei sondaggi successivi). Poi era cominciato il lavorio degli scettici circa le sue reali capacità, che hanno cominciato un po’ alla volta ad erodere il piedistallo che si era faticosamente costruito. Di tutto il suo defatigante lavoro politico, consistente soprattutto nello ingozzarsi pubblicamente di nutella, salumi di vario genere e caciocavalli (che venivano preventivamente baciati), alla fine non gli restava che una vistosa pinguedine, mentre nei sondaggi i consensi si dimezzavano e la sua concorrente nella conquista della leadership del centrodestra lo scavalcava ampiamente.

Il “capitano”, come il Tartarin di Daudet, sentiva che se voleva recuperare credibilità agli occhi degli italiani doveva compiere un‘azione clamorosa.  E  la guerra in Ucraina gli offriva un’occasione da prendere al volo: doveva stupire il mondo come portatore di pace. Detto fatto  prese il primo aereo per la Polonia da cui si apprestava a varcare la frontiera con l’Ucraina  per fermare a mani nude l’invasore russo. Ma questo primo tentativo gli è andava maluccio (come a Tartarin con l’asino), perché il sindaco polacco del Comune di frontiera gli rinfrescava la memoria: tu sei uno sfegatato ammiratore di Putin. Come puoi pensare di essere bene accolto dagli ucraini, che il tuo idolo sta massacrando?

La “rinfrescata” è stata un po’ umiliante ma tutto sommato salutare. Già, si è detto Salvini. Io sono putiniano, che cosa ci faccio in Ucraina? Devo andare da Putin per chiedergli di porre fine alla guerra. E così è nata l’idea di volare a Mosca. Si tratta in effetti di un’idea grandiosa: riuscire dove hanno fallito tutti i grandi della terra, compreso Guterres. Roba che, in caso di esito positivo, gli avrebbe fruttato una candidatura a segretario dell’ONU. Altro che una miserabile presidenza del Consiglio! Questa la lascio alla Meloni.

Purtroppo, però, qui non siamo a Tarascona, dove tutti i cittadini salutavano festosi il loro eroe che partiva per l’Africa e aspettavano trepidanti e fiduciosi sue notizie, ed esultarono infine quando videro arrivare la pelle del leone ucciso. Qui siamo in Italia, dove l’invidia la fa da padrona e tutti hanno cominciato a mettere piombo nelle ali del capitano, compresi i suoi compagni di partito: meglio che continui la guerra che veder tornare  in Italia Salvini trionfante con la pelle (metaforica) di Putin.

*Sergio Simeone docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil

 

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