di FEDERICO BETTA/
Danio Manfredini è uno degli artisti più interessanti, completi e radicali del panorama italiano. Autore, attore, disegnatore, cantante, musicista, dal 2013 è direttore dell’Accademia d’arte drammatica del Teatro Bellini di Napoli. Potremmo sicuramente definirlo un grande maestro se questa definizione non andasse in contrasto con la sua personalità, schiva e restia all’incasellamento e alle definizioni precostituite.
Il Teatro India di Roma ha recentemente ospitato Luciano (foto in basso a destra), sua ultima creazione (prodotto da La Corte Ospitale con Associazione Gli Scarti, Armunia centro di residenze artistiche Castiglioncello e Festival Inequilibrio) e Al presente (La Corte Ospitale) (foto a sinistra e in alto), spettacolo che vent’anni fa gli valse il Premio Ubu come migliore attore. Dal 22 al 24 marzo, il Teatro Quarticciolo di Roma ospiterà Vocazione (prodotto grazie a La Corte Ospitale e a un partecipato crowdfunding), un viaggio dell’artista nelle sue paure, desideri e consapevolezze legati alla pratica del suo mestiere.
Il teatro di Manfredini ha il grande pregio di essere un’immersione totale, commovente e poetica, in un mondo fatto di presenze mentali e in una fisicità dirompente, in fantasmi che cercano un modo di farsi presenti per rendere noi stessi più consapevoli delle nostre fragilità. Questo accade nello spettacolo Al presente, frutto dell’esperienza di anni di lavoro con malati psichiatrici. Ci accoglie una scena totalmente bianca, uno spazio astratto come un luogo della mente, dove sono presenti pochi oggetti quotidiani come un comodino che ricorda un qualsiasi luogo di riposo, una panchina, un manichino che rappresenta il doppio dell’attore e un pannello girevole. Elementi essenziali per dipingere quadri di sofferenze, monologhi fiume delle persone incontrate, un mondo impressionistico che prende vita davanti alla proiezione dei disegni dello stesso attore che riportano un’ulteriore dimensione, uno squarcio nell’intimità, dentro le ossessioni di ognuno di noi. L’atmosfera dai toni rarefatti viene abitata e spezzata dalla fisicità generosa di Danio Manfredini, performer che si muove regalando gestualità e voce a ognuno dei suoi protagonisti, mattatore che riempie il palco ballando e correndo, come cercasse d’afferrare tutte queste storie, come a rincorre la loro follia e la loro verità.
La musica ha un ruolo centrale in questo lavoro e, come sempre nei suoi spettacoli, le vengono riservati lunghi momenti di potenza e commozione. La voce di Vasco Rossi, su tutti, interpreta alla perfezione l’inferno che i suoi personaggi, e come eco ognuno di noi, portano con sé.
Danio Manfredini si fa carne, diviene mezzo e varco per farci entrare in un’altra realtà, riuscendo a farci commuovere e ridere, a volte facendo tanto, a volte pochissimo, anche semplicemente stando fermo, come può solo un grande artista che offre tutta la sua fragilità.
Al presente è il ritorno costante di qualcosa che non se ne va, che è sempre con noi, che non ci lascia liberi e ci ricorda in ogni attimo chi siamo. Quello che ci possiamo augurare è che questo artista, unico e controcorrente rispetto alle logiche di mercato attuali, sia sempre di più il nostro presente.
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