di FEDERICO BETTA – Si è concluso con due spettacoli teatrali, uno del noto e acclamato regista Oskaras Koršunovas e l’altro della giovane e ribelle regista Kamilė Gudmonaite, la ricca proposta culturale di Flux, l’interessante festival in onore dei 100 anni della Repubblica di Lituania, che ha portato il pubblico romano in un viaggio nella ricchezza e nella vivacità della scena artistica dello stato baltico.
Seppur molto diversi nelle tematiche, nella realizzazione e nella riuscita, i due spettacoli hanno mostrato una sorta di necessità di scena, un’urgenza di comunicazione e una potenza recitativa che ha coinvolto il pubblico in modo diretto e totale. In entrambi i progetti quello che più ha colpito è stata la bravura degli attori e delle attrici che hanno lavorato su una linea registica in sottrazione, lasciando sul palco i corpi degli attori più vivi che mai. Un vero incanto per gli spettatori, trascinati oltre le divisioni classiche tra palco e platea.
Trans, Trans, Trance (visto al Teatro India), come sottolinea la regista Gudmonaite, è uno spettacolo sulla femminilità e sulla sessualità che si allontana dagli stereotipi per condensarsi sulla libertà di essere davvero chi si è. Tre giovani donne mettono in scena vari cliché e canoni sociali, estetici e comportamentali, calcando la mano su frammenti visivi e performativi, per lasciare spazio, nella seconda parte, a storie personali che chiamano direttamente in causa il pubblico presente. Lo spettacolo parte dalla condizione individuale di queste giovani donne per arrivare a parlare della condizione delle persone transessuali in Lituania, sottolineando un’ostilità sociale dovuta alla totale ignoranza dell’argomento. Le attrici, terzetto molto affiatato, padroneggiano la scena con grande capacità di coinvolgimento e grande generosità, donando al pubblico e ai personaggi interpretati naturalezza e grande vitalità.
Kamilė Gudmonaite, regista venticinquenne, dimostra di avere le idee molto chiare e di voler sfidare le convenzioni con determinazione: “Siamo la prima generazione che parla di questi temi e spesso i nostri amici e i nostri genitori non capiscono perché abbiamo la necessità di parlare di questi argomenti”. Questa la forza dello spettacolo che, forse a un pubblico più abituato a temi di genere legati all’identità come quello italiano, può dare un costante senso di déjà-vu.
All’Auditorium Parco della Musica, invece, Oskaras Koršunovas ci trascina nei Bassifondi grazie alla messa in scena del testo omonimo del noto scrittore russo Maksim Gor’kij. Ciò che caratterizza in modo radicale questo lavoro è la presenza reale dell’attore, la scelta di interrogare il confine tra essere e interpretare, calcando la mano sulla verità di scena: tutto quello che accade, dai piatti rotti, agli attori che salgono in piedi sulle poltrone dell’Auditorium, fino alla vodka bevuta e offerta al pubblico, è reale. Koršunovas ci riporta alla necessità di far accadere veramente le cose, di ripristinare un qui e ora teatrale, che è tanto più presente quanto più riesce a creare la magia del teatro, a costruire un legame inscindibile tra palco e platea.
Lo spettacolo è pensato come un misto tra una conferenza, un’ultima cena e una prova a tavolino degli attori. Il palco viene volutamente ridotto in modo che la scena si svolga in prossimità del pubblico e costringa gli attori a muoversi in uno spazio ristretto o ad aggirarsi in platea. Una scelta scenografica che è una gabbia e una dichiarazione chiara di apertura in avanti. Sul tavolo bottiglie di vodka, gallette dolci, qualche bottiglia d’acqua, accanto alla scena un proiettore che mostra diapositive di paesaggi senza tracce umane e una vecchia cartina dell’Europa. Il testo scorre senza pause, con un’intensità crescente, tra citazioni shakespeariane, liti tra i protagonisti, brindisi e chiamate in causa del pubblico, a difendere la visione di un personaggio o per interrogare le proprie convinzioni.
Ogni attore, nella propria diversità, si distingue per una bravura e una capacità di relazione uniche. Nel testo, che ha una chiara preponderanza dei caratteri maschili, spiccano però le due protagoniste. Le due uniche donne in scena hanno la forza per illuminare aspetti oscuri dell’animo umano e ribaltare cliché recitativi e sociali. La prima, Rasa Samuolyte, offre una visione rivoluzionaria a una sorta di Ofelia che rivendica la sua visione dell’amore e il suo desiderio di seduzione intrattenendo una conversazione tra il surreale e il comico con uno spettatore. La seconda, Nelė Savičenko, porta con ironia e profondità un piano di consapevolezza della condizione femminile arrivando a condannare l’istituzione del matrimonio: “Tuo marito non ti ha picchiato?”, chiede a una donna del pubblico, “Lo farà!”.
A fine spettacolo, dopo un’immersione profonda nella fredda cultura del nord che si è fatta universale, il pubblico applaude con entusiasmo a questo piccolo grande evento che ha del miracoloso: in tutti vibra un senso di profonda gratitudine per un teatro che, partendo dallo specifico umano di ogni interprete, sa farsi esperienza davvero collettiva.
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