TEATRO/ La scimmia siamo noi: Giuliana Musso rilegge Kafka al “Palladium”

di FEDERICO BETTA– Tra i tanti, il Teatro Palladium ha il grande merito d’aver portato a Roma l’ultima produzione di una delle artiste e autrici più interessanti del teatro italiano. Dal 14 al 16 febbraio, ha ospitato La scimmia, spettacolo di e con Giuliana Musso, liberamente ispirato a Una relazione per un’Accademia di Franz Kafka.

Il testo originale, tradotto da Monica Capuani, ha subito una forte elaborazione che l’ha piegato per avvicinarlo al percorso artistico dell’autrice. Come scrive nelle note di regia “la trasformazione della scimmia in umano diviene chiara metafora dell’iniziazione dell’individuo al sistema culturale patriarcale. La conquista della razionalità è descritta come perdita di sé, di autenticità, di coerenza, perché è una razionalità che essenzialmente reprime i bisogni primari degli individui”. Già in questa presentazione sono chiari molti dei temi cari a Giuliana Musso, sviluppati in modo diversificato ma coerente in tutto i suoi lavori, da Sex Machine a Nati in casa, da La fabbrica dei preti, a Mio eroe e, in modo ancora più specifico, in Odiare Medea e nel progetto Wonder Woman. Il corpo dell’essere umano, così come il corpo dell’artista sul palco e spesso anche il corpo di una terra, il Veneto, sempre narrato con chirurgica e divertente precisione, sono il segno di una fisicità, di una prospettiva sulla vita negata dall’ideologia insita nella superiorità del pensiero astratto, che nega la complessità dell’umano per chiuderlo in una gabbia senza via d’uscita.

Sul palco si presenta una scimmia, dai chiari tratti alla Charlot, che si presenta a un pubblico di illustri Accademici della società della scienza. Quell’essere, a metà tra l’umano e l’animale, tra il buffone e il mostro, racconta la sua storia: sopravvissuta a una battuta di caccia, si è ritrovata in una gabbia, e da lì, per sopravvivere alla violenza, il suo istinto e la sua capacità di adattamento le hanno imposto di copiare il mondo degli umani. Costretta a scegliere tra uno zoo e la vita del cabaret, ha optato per la via delle scene, diventando attrazione tragicomica, maschera di questo sconvolgente adattamento.

Tra ragionamenti di altissimo livello, intervallati da risate e inestirpabili comportamenti dell’animale, la scimmia si chiede: “Perché mi hanno fatto questo, se non è per qualcosa che ho fatto è per qualcosa che io sono?”. Già, è proprio il suo rappresentare la forza bestiale, la natura istintuale e vitale di un soggetto libero, che sta tutto il pericolo della scimmia per la società razionale degli uomini europei dell’epoca. L’animale è/ha una natura da estirpare, da educare perché non catalogabile, pericolosa nella sua essenza più alta di purezza e creatività.

Con una profonda vena di tristezza, è la scimmia stessa a dirci che dopo un lungo travaglio ha raggiunto l’intelligenza di un uomo dell’epoca, ma con ironia sottolinea come questo sia ben poca cosa, relativizzando in una battuta secoli di presunte conquiste razionali. Non sembra tanto essere quello che si raggiunge, quindi, il valore del nostro più intimo essere, ma forse è proprio quello che si perde, e ci parla continuamente in modo inconscio, come questa scimmia/buffone/mostro ci ricorda facendosi specchio di noi tutti.

Giuliana Musso porta in scena il segno sovversivo del perturbante con tutta la potenza di un’attrice che sa incarnare i tratti più archetipici e rivelatori del buffone, colui che ti fa sorridere mentre rivela le verità più atroci. Il mostro è colui che non ha più nulla da perdere e per questo si eleva a dio, o infante puro, colui che ha il potere di dire le verità più elementari e atroci. “Il re è nudo”, o meglio la scimmia ha perso i suoi vestiti, il suo specifico odore, il suo istinto, ed è l’unica che ha il coraggio di dirlo. Con commozione, con dolore e con un urlo che arriva nelle nostre più recondite intimità.

Commenta per primo

Lascia un commento