di FEDERICO BETTA –
Short Theatre è un festival che dal 2006 indaga il mondo delle arti performative. Ospitando artisti nazionali e internazionali, è una manifestazione molto attenta alle produzioni contemporanee, ed offre un programma sempre ricco di spettacoli, incontri, performance, concerti, dj set e installazioni. Quest’anno il festival è ospitato negli spazi della Pelanda, nel quartiere di Testaccio a Roma, dal 5 al 15 settembre (maggiori informazioni su www.shorttheatre.org).
Il titolo di questa edizione è “Provocare la realtà” e come ci scrive il direttore artistico Fabrizio Arcuri: “Provocare realtà significa mettere in discussione la legittimità del presente, mettere in discussione l’ordine costituito, rifiutare la paura di immaginare il nuovo, di inventare il futuro”. Tantissimi sono gli artisti e le artiste che, insieme al numeroso pubblico che popola i bellissimi spazi dell’Ex Mattatoio, contribuiscono a portare un’energia che è già un segno positivo di un futuro che prende spazio, che si fa corpo, arte e comunità.
Tra i numerosi lavori degli ospiti internazionali, abbiamo avuto la possibilità di assistere ad Antonio e Cleopatra, spettacolo del regista, drammaturgo e attore portoghese Tiago Rodrigues. Lo spettacolo (foto) è un “dialogo a due” (in scena Sofia Dias e Vítor Roriz) liberamente tratto o meglio, come dice il regista, costruito grazie alle citazioni dall’omonima opera di William Shakespeare. Non solo però di citazioni shakespeariane è denso questo lavoro, ma è anche intessuto da riferimenti alla cultura cinematografica.
A partire dalla colonna sonora, tratta dal kolossal Antonio e Cleopatra di Joseph L. Mankiewicz con Richard Burton ed Elizabeth Taylor, il testo propone un dialogo straniato in una sorta di sceneggiatura filmica, a sottolineare l’effetto di prova, e così la “ripetibilità” di un ruolo che si vive dall’esterno e in eterno, un tormento che si abbatte costantemente sui protagonisti e sulla loro sorte. Come scrive Rodrigues nelle note di regia “Se si pronuncia uno dei nomi, l’altro seguirà. La memoria non può evocarne uno senza l’altro”, e infatti lo spettacolo è un costante ripetere, impastare e scambiare nomi e punti di vista, a sottolineare l’indivisibilità di questi due personaggi, di questi destini. Nell’incedere perfetto di una tragedia che si conosce ma che non si può evitare, la storia si mostra nella sua cruda struttura di macchina drammaturgica che nell’ossessione si trasfigura in ironico lavoro metatestuale. I gesti sono rarefatti, trattengono lontano da sé o conducono l’altro, qualcosa appare tra le mani, nel presente, ma di colpo non c’è più, finito l’amore tutto diventa passato. Le mani e i corpi dei due attori agiscono in modo speculare, i due respirano insieme, fino a comporre, in uno dei momenti più belli dello spettacolo, una cascata di suoni, assonanze e distorsioni che descrive i momenti finali dei due personaggi, un amplesso che è desiderio d’infinito, ripetizione e respiro, come l’amore.
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