di FEDERICO BETTA – In chiusura dell’anno pasoliniano, fortemente voluto dal Teatro di Roma, e in apertura della stagione 2016-2017 del teatro Argentina, debutta Ragazzi di vita (riscrittura di Emanuele Trevi del romanzo di Pier Paolo Pasolini) con la regia di Massimo Popolizio.
In questo affresco delle periferie romane, che causò all’autore friulano un processo per oltraggio al pudore, vengono raccontate le giornate di un gruppo di adolescenti della capitale. La riduzione teatrale suddivide il romanzo in quadri, introdotti e collegati da un narratore che collega le storie dei diversi protagonisti. I tuffi nel Tevere, i furti di borsette e le corse in macchina, le urla e le parolacce, le avventure amorose e le botte portano i giovani, ridotti a ciondolare tra le vie di Roma, a confrontarsi con la vita e la morte, la violenza e l’amicizia, in un caleidoscopico racconto che moltiplica i punti di vista.
I diciotto attori (tra i quali tre attrici) si muovono come in una morbida coreografia tra il proscenio, davanti a sfondi con proiettate immagini astratte e sempre ondulanti, e l’intera dimensione del grande palco del teatro, che li immerge in un mondo di luci e ombre intagliate nella struttura dell’Argentina. La vicinanza degli attori in proscenio permette una partecipazione molto intima alle loro vicende e l’uso di tutta la profondità di palco, nonché degli spazi sopraelevati e dei primi palchetti, crea un vero e proprio e spazio mondo fatto di distanze e altezze come una città.
La recitazione antirealistica, che recupera il romanesco creato da Pasolini per il romanzo, l’utilizzo simbolico delle scenografie e l’elegante pittoricità delle scene di gruppo, rivelano un’attenta riscrittura del testo e una regia precisa che rimanda con omogeneità a un racconto epico. Tra la voce del narratore, i protagonisti che parlano di sé stessi in terza persona, le canzoni ricantate sulle musiche originali ci si trova avvolti in una potente avventura di popolo, che restituisce sacralità a corpi ed emozioni.
Con una coralità perfettamente orchestrata e una vitalità trascinante, il lavoro di Trevi e Popolizio privilegia un approccio lieve che disinnesca la gravità della periferia pasoliniana. Però nella scelta di trasformare la violenza e la ferocia quasi in un gioco tra ragazzi il flusso mai veramente graffiante di parole e azioni rischia purtroppo di perdere la forza disturbante e intrisa di contraddizioni dei ragazzi di vita.
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