di FEDERICO BETTA – In occasione dello spettacolo “Che fine ha fatto Baby Jane?”, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare le due registe, Alessandra Silipo e Susanna Lauletta, e porre loro qualche domanda.
Il lavoro, che sarà in scena al Teatro Stanze Segrete di Roma fino al 12 marzo, oltre alle intervistate vede in scena Fabrizia Scopinaro, Ilaria Orlando e Michele Prosperi.
Come vi siete conosciute? Qual è il vostro percorso?
Ci siamo conosciute lavorando per un cortometraggio teatrale sulla Shoah in occasione del Premio Spizzichino 2015, durante il quale abbiamo ritrovato l’una nell’altra lo stesso approccio e rispetto profondo per questo tipo di lavoro. La decisione di fondare una compagnia in una traboccante realtà teatrale romana è stata frutto non solo di una attenta e ponderata riflessione ma anche di un sano ed incosciente entusiasmo. La nostra compagnia “Compagnia SilipoLauletta” ha debuttato nel 2016 al Teatro Stanze Segrete di Roma diretto da Ennio Coltorti con “Che fine ha fatto Baby Jane?“, thriller psicologico di Henry Farrell. Grazie al riscontro positivo avuto nella passata stagione il teatro ci ha proposto di riportare in scena lo spettacolo. A maggio invece saremo al Teatro Trastevere con una nuova produzione.
Come mai avete scelto questo lavoro?
Abbiamo scelto di portare in scena come primo testo “Che fine ha fatto Baby Jane?” per la sfida stimolante che racchiude un lavoro così intenso, che indaga su due personaggi complessi come Blanche e Jane Hudson che esulano dalle canoniche dinamiche femminili e per l’universalità che assume la storia in una realtà che diventa sempre più consumistica arrivando a spremere i giovani talenti per poi abbandonarli senza gli strumenti adatti ad affrontare un declino.
Come articolate il soggetto del film? Il rapporto morboso tra due sorelle è la metafora di qualcos’altro? Che cos’è oggi l’incubo?
Abbiamo amplificato il senso claustrofobico della reclusione alla quale si condannano le due sorelle sia scegliendo il teatro Stanze Segrete sia costruendo una scenografia in base all’interiorità dei personaggi che si trovano ad agire in un contesto svuotato e destrutturato di lontana ispirazione Escheriana e quindi senza via d’uscita.
L’ immobilismo di entrambe le sorelle, la gabbia in cui si rinchiudono per sfuggire ai propri mostri le porta a vivere un rapporto di dipendenza morbosa, ma necessaria, perché costrette a un esilio da una realtà che le ha presto dimenticate. Il loro legame invita ad una riflessione più profonda sui rapporti umani e sulla loro reale importanza rispetto al potere che viene dato alla società di farci dimenticare chi siamo veramente, facendoci sentire profondamente soli o abbandonati o inadeguati e quindi liberi prigionieri dei propri incubi.
Come avete lavorato per trasporre il film a teatro?
Il nostro adattamento fa riferimento al romanzo di Henry Farrell riprendendone la cronologia, la tempistica introspettiva giocata sulla solitudine dei personaggi e sul rumore dei silenzi e delle pause come tentativo reciproco di demolire l’una la mente dell’altra. Amalgamato alla successiva sceneggiatura di Lukas Heller se ne approfondisce la ritualità del loro vivere e il conseguente sottile e dispettoso confronto. Le musiche di Angelo Lauletta amplificano l’atmosfera inquietante e la crudeltà grottesca della follia.
Come cambierà il vostro spettacolo portandolo in spazi diversi dal Teatro Stanze Segrete?
Lo spettacolo nella sua essenza resterà invariato e manterrà le stesse dinamiche, ovviamente adattato allo spazio in cui andrà in scena.
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